Il confronto genera conoscenza, libertà e democrazia. L'indifferenza e l'ignoranza generano corruzione e malgoverno. Il dogma e il pregiudizio ideologico generano integralismo e conflitti.

giovedì 13 gennaio 2011

AFGHANISTAN: COME QUEL PASTORE ERRANTE PER L'ASIA...


25 dicembre 2010 - Trasferimento con un elicottero EH101 della Marina Militare verso Farah - Foto di Giuseppe Lami



Il linguaggio militare NATO è pieno di acronimi, servono a far comunicare tra loro soldati che parlano lingue diverse, come per esempio un turco con un lituano.
FOB è l'acronimo di Forward Operating Base, ossia base operativa avanzata. 
Nella FOB di Farah ha sede il comando del Reggimento Lagunari Serenissima, con un rafforzamento di carri leggeri da ricognizione Dardo del 1° Reggimento Bersaglieri di Cosenza. Questo insieme di uomini e mezzi rappresenta il Gruppo di Manovra della Brigata Alpina Julia che ha il comando di tutta la regione occidentale afghana.
La FOB di Farah, seppure ci si viva in tenda,  è una base relativamente comoda condivisa con gli americani che hanno qui una  reparto MEDCAP dotato di un centro di chirurgia molto organizzato ed una intensa attività CIMIC per interventi umanitari e sociali.   
Sopra la base staziona, come un cane da guardia, un pallone frenato pieno zeppo di chip, sensori e computers in grado di segnalare e monitorare movimenti di uomini a circa 25 chilometri di distanza.

25 dicembre 2010 - L'arrivo del C130J del Generale David Petraeus a Farah - Foto di Giuseppe Lami
Sono arrivato a Farah il giorno di Natale con un elicottero della Marina Militare; che fosse Natale me ne sono accorto per la quantità di presepi, tutti realizzati con rara abilità usando materiali di recupero, presenti in ogni crocevia tra le tende ma anche per l'arrivo improvviso del C130 del generale David Petraeus. Il generale 4stars è venuto a portare gli auguri ai suoi soldati, italiani compresi, per poi ripartire rapidamente per andare ad incontrare il Capo di Stato Maggiore Vincenzo Camporini a Bakwa, utilizzando l 'EH101 della nostra Marina Militare da cui ero appena sbarcato.
25 dicembre 2010 - Il colonnello Giovanni Parmeggiani comandante del Reggimento Lagunari Serenissima riceve il generale David Petraeus appena sbarcato sull'aviosuperfice di Farah - Foto di Giuseppe Lami

Nonostante il giorno di festa la base era in gran fermento con i meccanici a lavorare sino a notte fonda intorno ai Lince e ai Dardo in un continuo susseguirsi di breefing a vari livelli, mentre i lagunari pulivano le armi e chiudevano borsoni e zaini.
La sera del 25 dopo la messa alcuni soldati americani sono venuti in visita presso la zona italiana ed hanno offerto dei cakes inviati dai loro concittadini insieme a tanti piccoli regali, non indirizzati a qualcuno in particolare ma ai soldati americani in quanto tali: dolci, libri, abbonamenti a riviste, dopobarba, calzettoni da montagna... Un modo dell'America per dire ...grazie  soldato per quello che stai facendo per me. So che stai rischiando la tua vita in un posto che non so neppure trovare sulla mappa, ma grazie a te posso mangiare il tacchino e bere il vino della California nella mia casa calda, insieme alla mia famiglia oggi che è Natale e avere così una concreta certezza che tutto questo durerà ancora!
Il giorno dopo sono partito con una colonna motorizzata per raggiungere un'altra FOB, quella di Bala Baluk, presidiata dalla II Compagnia del Reggimento Lagunari con i quali nei mesi passati avevo condiviso un'esercitazione nella laguna veneta. In quell'occasione ho incominciare a capire di che pasta sono fatti i Lagunari, orgogliosi del loro ruolo e del significato delle loro mostrine con l'effige del leone di San Marco. Per evitare ogni dubbio sulla loro specialità anfibia hanno trasportato da Venezia all'Afghanistan le ancore dei loro mezzi da sbarco, con cui hanno adornato il campo,  suscitando grande curiosità tra i soldati afghani che non avevano mai visto un'ancora e che le hanno scambiate per armi misteriose! 
Ma i ragazzi dei lagunari da Venezia hanno anche portato quaderni, matite e altro materiale raccolto dall'Associazione Lagunari per essere distribuito nei villaggi durante le loro  pattuglie.

 26 dicembre 2010 - In colonna nel deserto  verso Bala Baluk - Foto di Giuseppe Lami
 

Lo scopo di questo massiccio trasferimento di uomini e mezzi da Farah a Bala Baluk era quello di rafforzare l'avamposto  per coadiuvare e proteggere un'unità dell'ANA (Afghanistan National Army)  in un'azione militare di clear, ossia di ripulitura di un villaggio dalla presenza di insorgenti di vario tipo come taliban, estorsori, taglieggiatori, trafficanti di armi e di droga con il loro codazzo di giannizzeri armati e di bombaroli.
Appena la colonna inizia a muovere da Farah arrivano dei warning dall'intelligence che segnalano la probabile presenza di IED lungo la Strada 517 e così la colonna si sposta su un percorso alternativo lungo il deserto, una strada virtuale, identificata solo dai GPS, chiamata convenzionalmente Federica
Immaginate decine di mezzi blindati e carri leggeri con al seguito camion con carburante, munizioni e vettovaglie che si spostano lungo il deserto in una zona ostile e adatta ad imboscate. Un trasferimento di oltre sei ore di fuoristrada vero nel caldo e poi nel freddo, con i ragazzi in ralla concentrati sul loro angolo di tiro, sempre esposti ad una polvere leggera e soffice come talco che entra dappertutto
Sono appesantito dal giubbetto antiproiettile e dall'elmetto e mi trovo legato come un  salame con la cintura a cinque punti ai piccoli seggiolini corazzati del Lince; cerco di non mostrare il disagio e la fatica ai giovani Lagunari che mi ospitano nel loro mezzo e che mi raccontano delle loro esperienze.  
Nel frattempo attraverso la radio criptata veniamo a sapere che lungo la Strada 517 il Genio ha trovato e disinnescato tre IED destinati alla nostra colonna, probabilmente scoperti dai Predator o dagli AMX mentre su un quarto è saltato un pick up dell'ANA, uccidendo gli occupanti; gli afghani sono meno scientifici di noi negli spostamenti.
Man mano che scendono le tenebre la tensione aumenta, si viaggia a fari spenti e tutte le manovre si svolgono con i visori notturni mentre l'abbigliamento che era troppo caldo per il giorno diventa insufficiente per il freddo notturno del deserto.
Finalmente arriviamo a Bala Baluk che chiamarla FOB sa di ironico;  in realtà è un piccolo avamposto per una compagnia di fanteria leggera, esposto ai tiri curvi degli insorgenti che infatti ciclicamente tirano qualche razzo, per fortuna senza una mira adeguata. I nostri possono rispondere solo se vedono fisicamente qualcuno che fa partire il razzo; subito prima o subito dopo quel tizio è un cittadino afghano per bene. Questa cavillosa e un po autolesionista procedura è parte integrante delle regole di ingaggio ed è governata da un caveat molto severo: infatti dopo un eventuale scambio di colpi i nostri soldati sono sottoposti alle domande e alle verifiche di una commissione di indagine e sino a poco tempo fa le armi ed i mezzi coinvolti venivano sequestrati dall'Autorità Giudiziaria di Roma! 
 
Bala Baluk è un insieme di piccole tende organizzate per accogliere circa 120 persone già in condizioni di disagio che, all'improvviso, ha visto raddoppiare la presenza di mezzi e uomini. 
Qui i rifornimenti arrivano con grandi pericoli a bordo di camion civili scortati dall'esercito o dalla polizia afghana che organizzano lunghi convogli e che, oltre al compito di protezione, dovrebbero vigilare per impedire le frequenti estorsioni che per gli insorgenti sono la più grande fonte di reddito e per il controllo delle quali si ammazzano tra di loro, nel più puro stile mafioso
A Bala Baluk era il periodo di Natale come nel resto del mondo, ma non c'era il pane, il caffè, il latte, la marmellata, i dolci, la birra ed il vino. Le razioni, per quanto cucinate benissimo dal capo cuoco della FOB, chiamato da tutti Bulldozer per la sua energia e determinazione, erano veramente scarne. 
 27 dicembre 2010 - Bala Baluk, il capo cuoco dell'avamposto è una certezza per i Lagunari che lo hanno affettuosamente appellato Bulldozer.

La temperatura, dai venti gradi del giorno, la notte calav vistosamente sotto lo zero. 
Una notte il riscaldamento campale della tenda in cui dormivo è andato i blocco, con un coraggio estremo mi sono alzato e, imbacuccato come un profugo, ho cercato di raggiungere i servizi igienici distanti duecento metri dalla tenda per scoprire poi che i rubinetti del container wc erano bloccati dal ghiaccio, la temperatura era -4.
Intirizzito dal freddo ho alzato lo sguardo al cielo, forse per imprecare, ed invece mi sono fermato, con il naso all'insù a guardare le stelle dell'Asia incredibilmente luminose ed enormi, le stesse di quel pastore di cui scrisse Leopardi...
Così alle tre di notte a metà strada tra la mia tenda ed il wc della FOB di Bala Baluk mi sono messo a recitare, sorridendo a me stesso: Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna?  ...sarà forse un segno di una senilità precoce ma ho pensato che essere lì a Bala Baluk, in Afghanistan, a Natale, condividendo pericoli e disagi con i miei amici Lagunari fosse un privilegio!


Poi, quando l'operazione militare stava per incominciare e la tensione dei soldati era ormai pronta ad affrontarne i rischi è stata all'improvviso sospesa perché gli afghani tergiversavano; si parte, non si parte più, si parte domani... eravamo tutti delusi quando ci hanno comunicato che l'operazione era stata ufficialmente spiantata
Scusate la franchezza ma la mia delusione era più che comprensibile! Avevo percorso quasi 5 mila chilometri a bordo di aerei civili, C130, elicotteri e Lince per partecipare ad un'azione militare vera, azione abortita perché gli insorgenti si erano dileguati per non avere a che fare con le facce da bravi ragazzi dei nostri soldati, che sono proprio come quelli della porta accanto, solo un po più atletici e tonici e sempre sorridenti nonostante il peso dell'equipaggiamento, delle armi e della responsabilità  che la vita militare esige.
Ad Herat nei giorni successivi alcuni amici dei servizi (ma sembra lo abbia scritto anche wikileakes) mi hanno confidato che gli italiani vengono identificati dagli insorgenti con l'ovattato frullare dei motori e con il crepitio dei pneumatici sui sassi provocati dai Lince e, quando possono, se sentono questi suoni se la danno a gambe.
In quei giorni a Bala Baluk i Lince erano veramente molti e la notizia ha sicuramente oltrepassato i confini dell'avamposto...

27 dicembre 2010 - Una postazione difensiva dell'avamposto di Bala Baluk - Foto di Francesco Lami

Deluso per l'azione annullata incomincio così a gironzolare per il campo in attesa del rientro, affatto impressionato, come del resto i ragazzi della FOB,  dai warning che prevedono lanci di razzi M 107 contro il campo.
Mi metto a cercare Lagunari abruzzesi per proporre le loro interviste al TG3 Abruzzo, intervisto il cappellano casualmente seduto sotto un rosario di pallottole da 12,7 della Browning e poi  entro all'infermeria comandata dal tenente Colonnello Andrea Polo, veneto DOC, che mi offre caffè e biscotti con i quali, per quanto agnostico ed in ritardo, festeggio il  Natale. 
Mentre bevo il caffè rifletto sul fatto che se un medico della sua esperienza e del suo grado sta in questo piccolo avamposto vuol dire che ci deve essere una reale situazione di pericolo.
Poi accade qualcosa. 
Chiamano dal posto di guardia avanzato: è arrivato un ospite inaspettato.
Da lontano vediamo il comandante della forza di reazione rapida, che protegge il campo, che perquisisce due uomini barbuti con un bambino in braccio e poi li saluta amichevolmente: si conoscono.

28 dicembre 2010 - Amir, insieme al cognato, porta suo figlio Hamdullah all'infermeria di Bala Baluk - Foto di Francesco Lami
L'uomo più giovane si chiama Amir, qualche settimana fa ha compiuto un atto di coraggio per amore di suo figlio Hamdullah, creando allo stesso tempo scompiglio tra le fila degli insorgenti, presentandosi davanti ai varchi protetti della base.

Amir cercava di spiegare al corpo di guardia che suo figlio stava male, non camminava, aveva la febbre, non mangiava e mostrava allo stesso tempo il piedino destro del bambino deformato e totalmente devastato da una piaga purulenta.
Stava chiedendo aiuto, teso e con un leggero tremolio del corpo, sapeva che chiedere aiuto agli infedeli può provocare vendette e ritorsioni ma l'amore per il figlio, in questo luogo del mondo dove la vita può non valere nulla, è più forte della paura e del dogma. 


29 dicembre 2010 - Bala Baluk il ten. col Medico Andrea Polo ed il piccolo Hamdullah - Foto di Giuseppe Lami

Il comandante della base il Tenente Colonnello Puce capisce la valenza politica di quella visita che rappresenta un atto di affrancamento dal pregiudizio che il territorio, sotto il ricatto della vendetta degli insorgenti, ha nei confronti dei soldati ISAF.
Andrea Polo e i suoi ragazzi  rimangono colpiti da questo bimbo di circa 5 anni e dall'angoscia del padre, lui stesso malato  e denutrito, che per portarlo lì ha sicuramente superato dubbi e timori e chilometri di deserto, a piedi.

  
















29 dicembre 2010 - Hamdullah con il padre Amir mentre viene curato dal CM Zuccara'

Hamdullah  ha un sasso incistato nel piede ormai totalmente deformato, non si lamenta neppure più, è un fagottino senza forma che respira sempre più piano, se non si interviene subito in qualche modo ha ormai le ore contate. 
Quello che per un medico militare come Andrea Polo, con l'esperienza del veterano di decine di missioni nei luoghi più disgraziati del mondo, è un intervento di normale amministrazione si trasforma in un atto di amore che rapidamente dilaga per tutta la Seconda Compagnia del Reggimento Lagunari Serenissima di presidio all'apparente immenso nulla che circonda la FOB di Bala Baluk. I Lagunari che dormono in tenda  sotto cieli gelidi, che trascorrono le feste di Natale in armi, senza latte, dolci e caffè, lontano da tutto e da tutti adottano coralmente Amdullah. 
Il bambino viene curato e nutrito ed il padre incomincia a rispettare sempre con maggiore precisione gli appuntamenti per le cure successive. Il tenente colonnello Andrea Polo scopre che c'è un problema più grave, una massa tumorale spinge sul midollo spinale di Hamdullah che richiede così cure ed indagini cliniche superiori alle potenzialità del campo e dell'Afghanistan. 
Scatta un piano per trasferire Hamdullah in Italia ma in Afghanistan non esiste l'anagrafe, si devono superare molti problemi burocratici oltre a trovare i fondi necessarie per il viaggio del piccolo e del suo accompagnatore che dovrà stare in Italia per almeno sei mesi.
Il motto dei Lagunari canta Come scoglio infrango come onda travolgo e di fatto non si bloccano di fronte a nulla e da quel lembo di terra nel deserto afghano superano tutti i cavilli e gli ostacoli burocratici, si tassano, contattano altri Lagunari in Italia che a lor volta si mettono all'opera.
Domando ad un ragazzo campano che in questa storia ha avuto un ruolo, perché tutto questo impegno. Lui mi guarda incuriosito e poi mi risponde con un sottile sorriso: mica siamo Lagunari per caso!
Hamdullah sta ora meglio, sta per partire per l'Italia, Andrea Polo l'ufficiale medico di Bala Baluk che nella sua vita ne ha viste di tutti i colori gli ha dedicato una poesia, è convinto che ce la farà.
La storia di Hamdullah è tutta qui. 
Certo non cambierà le sorti dell'Afganistan ma ha segnato  tutti coloro che vi hanno avuto un ruolo, anche marginale, come il mio.
Spargendosi nel villaggio questa storia ha però creato un piccolo problema:  ogni giorno davanti ai varchi di Bala Baluk arriva qualcuno che vuole farsi visitare suscitando odio e rabbia tra gli insorgenti, perché se con le armi si vince la guerra, con la fiducia si conquista la pace.

Quando sono rientrato in Italia qualcuno mi ha domandato perché ho trascorso le feste di Natale e Capodanno in Afghanistan; a volte evado la risposta.
Per molti  è impossibile capire come una simile esperienza sia come una grazia, senza prezzo.

martedì 11 gennaio 2011

LA SANITA' A BALA MOURGHAB

La nostra amica e collega Anna Rolli di Agenzia Radicale tra Natale e Capodanno ha visitato Bala Mourghab al confine con il Turkmenistan, uno dei luoghi più caldi del RCW il territorio afghano sotto il controllo del contingente italiano e ci ha cortesemente inviato questo testo e le relative foto.


PARLIAMO DI CONDIZIONI SANITARIE DOPO TRENT’ANNI DI GUERRA
a cura di Anna Rolli
Presso il confine con il Turkmenistan nel nord-ovest dell'Afghanistan, nella valle di Bala Murghab, scorre un fiume lucente e verdazzurro, come invetriato nel terreno asciutto e polveroso. Il fiume chiamato Murghab si dirige verso nord ed è perenne, caratteristica quest’ultima di grande importanza in un paese estremamente arido. Non lontano dalle sue sponde sorgono  villaggi di etnia pashtun, con minoranze di tagiki, uzbeki e turcomanni. I più piccoli di poche centinaia di persone mentre  il più grande Bala Murghab  conta 10.000 abitanti ed ha nel centro un bazar ed un piccolo ospedale con due medici afgani che  si occupano di un bacino di utenza di circa 44.000 abitanti. L’ospedale è privo di camera operatoria, uno dei  medici parla inglese, gode fama di essere molto bravo e si occupa del reparto maschile, l’altro parla soltanto il dialetto locale, non si sa con certezza se sia un medico oppure una specie di curatore e si occupa del reparto femminile.  Un altro ospedale opera più a Sud, a due giorni di viaggio in autobus, nella cittadina di  Qala-i-Nau,  dove è situata anche  la banca più vicina.
Quanto detto potrebbe già dare l’idea della drammaticità della situazione.
Una mattina, con un convoglio militare, mi sono recata a visitare l’ospedale di Bala Murghab e ci ha accolti,  al colmo della sorpresa, il medico in camice bianco con il quale ho scambiato le prime battute in inglese nell’ingresso dove è collocato il reparto maschile. Subito, un po’ concitato, mi ha invitata a trasferirci nel reparto femminile. Sapevo bene che la mia presenza in quel luogo, tra tanti uomini barbuti, già di per se, rappresentava un sacrilegio, così, per puro divertimento, ho preso a tergiversare. “ Ma non sono una paziente” ho esclamato “ quindi possiamo parlare anche qui!”. Il medico insisteva e si  guardava attorno con aria disperata, ovunque ceffi e cipigli sotto scuri turbanti e di fronte una pazza occidentale, non solo senza velo ma, orrore supremo, in giubbotto antiproiettile ed elmetto, con al seguito tre giovani soldati armati di fucile mitragliatore e fuori un blindato in attesa. Era talmente evidente il suo totale smarrimento che presa da umana simpatia l’ho seguito docilmente.
 
In fondo ad un cortile affollato di figure velate d’azzurro e di bambini piangenti, una stanzetta gelida funge da ambulatorio. Lì ci siamo seduti, accanto al medico “ per le donne” in berretto bianco e  rosario di legno scuro tra le mani, e il medico “per gli uomini”   mi ha parlato a lungo con il suo tipico, monotono inglese orientale. Mi ha parlato della malaria che ricompare ogni anno con l’estate; del tifo, dell’epatite e della dissenteria, endemiche giacché non esiste un sistema fognario e acque e polvere portano i batteri dovunque; della mancanza di alberi  per centinaia e centinaia di chilometri per cui la gente è costretta per il fuoco ad utilizzare sterpaglia e poi arriva in ospedale con la brucellosi una terribile malattia trasmessa dalla carne non  cotta a sufficienza; dei reumatismi e delle artrosi in un territorio che in inverno raggiunge i 20 gradi sotto lo zero e dove non è possibile alcuna forma di riscaldamento.  Il medico mi ha spiegato che sono soltanto in due mentre ci sarebbe bisogno di almeno sei dottori e di una ventina di infermieri; infine mi ha pregato di ringraziare con tutto il cuore i nostri militari che curano i malati e che a volte con l’ aereo hanno trasportato quelli più gravi in ospedali lontani.

Nei pressi del villaggio di Bala Murghab, i militari della forza di pace, stanziati nell’avamposto militare omonimo,  si occupano dell'assistenza sanitaria secondo un  piano detto: MEDCAP. Gli americani oltre a mettere a disposizione la loro  sala operatoria forniscono  farmaci e attrezzature, gli italiani mandano personale medico e para-medico in tutti i luoghi più disagiati almeno una volta al mese. Per la gente infatti,  soprattutto d'inverno, con il ghiaccio e la neve, è molto difficile raggiungere l'ospedale. Senza strade, lungo sentieri appena tracciati, arrivano a piedi da luoghi lontani chilometri o decine di chilometri e a volte lo fanno trasportando i malati con una carriola.

Appena tornata  in base ho scoperto inoltre  che, alcuni mesi fa,  gli operatori sanitari italiani in gruppo* avevano richiesto, per iscritto,  il permesso di occuparsi  degli afghani malati e che il comandante, il colonnello Andrea Piovera, lo  aveva accordato volentieri mettendo a disposizione una tenda per l’ambulatorio.  Il giovane e gentile ufficiale medico, il tenente Trevisani mi ha detto  “ Noi siamo un settore particolare e se non diamo una mano noi chi può dare una mano?”.  Mi ha anche spiegato che i medici privati in Afganistan sono molto esosi  e che negli ospedali pubblici c’è molta corruzione, la gente povera quando non può ottiene cure nell'ospedale pubblico si rivolge agli italiani però, al fine di creare un clima di collaborazione con i medici dell'ospedale di Bala Murgham, si richiede ai malati di andare prima  da loro e nel caso di venire alla nostra base con una diagnosi  scritta in inglese. Mi ha anche spiegato che soltanto due anni fa la situazione qui era molto più difficile ma oramai si è stabilita una buona collaborazione con la popolazione locale e migliora giorno dopo giorno, per questo si tende a ridurre le MEDCAP e a sostituirle con  l’ addestramento degli operatori sanitari afgani che si mostrano molto volenterosi anche se poco preparati perché spesso non sono medici e quindi è necessario tentare d’insegnargli quanto più è possibile. Poi mi ha raccontato delle ferite che si infettano con estrema facilità e dei casi di cancrena e delle amputazioni praticate all’ospedale americano, e delle scarpe, una delle richieste più comuni,  soprattutto d'inverno, oltre a quella di costruire dei pozzi d'acqua,  e delle donne turcomanne che sono più libere e vengono a chiedere aiuto mentre le pashtun non escono quasi mai di casa, e dell’umanità di tanti poveri contadini che fanno di tutto per salvare i propri cari e piangono quando i medici li dichiarano fuori pericolo.
Mentre parlavamo è arrivato un bambino di sei  o sette anni accompagnato da un barbuto papà. Aveva vestiti poverissimi e luridi e il labbro inferiore enorme perché un  piccolo taglio sul mento si era infettato. Non ha pianto, non si è lamentano mentre lo disinfettavano e incerottavano, solo agitava le manine in silenzio,  alla fine ci ha guardato con occhi sgranati, ansiosi di ricevere le liquirizie e caramelle che, come ogni bambino locale ben sa, vengono regalate ai piccoli dai nostri soldati, infine  serio e composto si è seduto davanti alla tenda e ha iniziato a scartare e a sgranocchiare incurante della bocca malmessa, e il papà accanto a lui aspettava paziente e intanto con occhi di brace, sotto il logoro turbante, scrutava la scandalosa familiarità con cui uomini e donne occidentali osano lavorare insieme e poi trattarsi a pacche sulle spalle e a strette di mano e addirittura intrattenersi a ridere e a chiacchierare. 
 
Ho parlato a lungo anche con il luogotenente Giuseppe Di Lillo, che con altri è stato impiegato ad Herat, nella sede della PRT ( Provincial Reconstruction Team), dove gli italiani hanno lavorato notte e giorno, ben oltre l’orario di servizio, per smaltire le interminabili file di pazienti che si presentavano ogni mattina. Mi ha raccontato che a volte i familiari portano i malati dal medico quando è troppo tardi perché arrivano  a piedi da posti lontani, oppure non permettono alle donne di farsi visitare ma mandano dal medico un maschio della famiglia a riferire i sintomi e a chiedere un rimedio, così le donne arrivano in ospedale quando sono già in fin di vita. Mi ha raccontato della violenza sulle donne  che si presentano coperte di lividi sotto il chador ma anche di familiari  che trasportano i loro cari per chilometri e chilometri, ogni volta che è necessaria una medicazione. Mi ha parlato infine delle giovani donne con grappoli di bambini, devastate dalle gravidanze che arrivano chiedendo anticoncezionali ma i nostri operatori non sono autorizzati a distribuirli perché in Afghanistan non si parla di pianificazione familiare  da parte del governo.
In uno dei paesi più poveri, con uno dei tassi più alti di mortalità infantile e con un’attesa di vita tra le più basse nel mondo,  ci piacerebbe capire il perché e che cosa si stia aspettando. Quello che è certo è che il governo afghano attuale da, a molti osservatori, l’impressione di non preoccuparsi a sufficienza della condizione femminile, condizione che in questo paese devastato per tanti versi è davvero spaventosa.

*Ufficiale medico, tenente Marino Trevisani  di Taranto; luogotenente Giuseppe Di Lillo di Maddaloni, Caserta; caporal maggiore scelto Ugo Scognamiglio di Napoli; caporal maggiore Maria Nunzia Florio di Grazzanise, Caserta.




venerdì 7 gennaio 2011

GUERRA, BUGIE E VIDEOTAPE

Appena sceso dall'EH101 della Marina Militare sul quale sta per imbarcarsi il gen. Petraeus-Fotografia di Giuseppe Lami

Mi sono portato in Afghanistan la mia copia de Il Grande Gioco di Peter Hopkirk, uno dei libri fondamentali per capire l'Afghanistan-Pakistan e il perché 137 mila soldati in rappresentanza di 48 nazioni sono qui ormai da quasi 10 anni.
Il fotoreporter Giuseppe Lami con cui, insieme a Daniel Papagni e Mirko Polisano, ho condiviso la tenda nel freddo della FOB di Bala Baluk, vedendo i miei tentativi di leggerlo assistito da una pila piazzata sulla testa e con le mani che reggevano il libro protette dai guanti che affioravano appena dal sacco a pelo,  mi disse che l'aveva letto ed era un bellissimo libro.
Un libro è uno strumento fantastico per rafforzare un'amicizia, soprattutto in una tenda in una base avanzata, bersaglio agognato per i razzi degli insorgenti e così incominciammo a raccontarci delle nostre recenti esperienze di viaggio nei paesi della confusione islamica, io dello Swat e lui del Balocistan, vicinissimo alla nostra tenda, poco più a sud-sud ovest, in Iran.
Fuori c'erano alcuni gradi sottozero e un warning per un altro probabile lancio di razzi contro la nostra FOB tenuta dai lagunari del reggimento Serenissima,  poco più grande di un campo di calcio e protetta più dall'imperizia trigonometrica dei bombaroli che da altri sofisticati sistemi guerreschi.
Rientrati a Farah con un convoglio di Lince siamo ripartiti per Herat a bordo di un elicottero Cougar dell'esercito spagnolo.
Sotto di noi, attraverso i grandi portelloni aperti, si vedevano scorrere le immagini del deserto afghano descritto da Hopkirk.  Evidenti come incisioni i solchi delle carovaniere, che per millenni hanno costituito la via di congiunzione tra l'Oriente estremo e l'Occidente mediterraneo, erano l'unica forma di antropizzazione ma ormai inglobata nel paesaggio naturale. Gurdando questo paesaggio fantastico ho intercettato il disappunto di Giuseppe Lami mentre indicava con uno sguardo i mitraglieri spagnoli, più attenti a controllare noi che il terreno sottostante. Tutti gli spagnoli presenti in Afghanistan hanno infatti ricevuto ordini severissimi di vietare l'utilizzo di telecamere e macchine fotografiche a bordo dei loro mezzi così come l'ordine tassativo di evitare qualsiasi possibilità di contatto armato con gli insorgenti, anche per aiutare gli alleati: se qualcuno si mette a sparare, chiunque sia, gas al massimo e strategia di fuga!

Giuseppe Lami mentre si imbarca sul Cougar spagnolo-Foto di Daniel Papagni/Cybernaua
Del resto sapevamo benissimo da esperienze precedenti che non è possibile fotografare, filmare o intervistare un militare spagnolo, ma che impedissero pure di filmare il paesaggio ci ha fatto proprio ridere.
Il motivo di questa censura di tipo  franchista è molto chiaro: i soldati spagnoli sono in Afghanistan ma in Spagna non ne parla nessuno, per il governo  Zapatero l'Afghanistan è un problema degli altri perché non vuole alienarsi l'integralismo di sinistra che, in quanto a pregiudizi dogmatici e intolleranza per la democrazia,  potrebbe tranquillamente fare coppia con l'integralismo islamico.
In Afghanistan i militari spagnoli sono circa 1600 concentrati per la maggior parte a Camp Arena ad Herat dove ha il suo quartier generale il Regional Command West la cui leadership è affidata al Generale di Brigata italiano Marcello Bellacicco della Julia e da cui dipendono circa 7600 uomini tra italiani, americani, albanesi, lituani, croati e... spagnoli.
Gli spagnoli dovrebbero mentorizzare i militari afghani  per metterli in condizione di controllare l'area di Badghis dove, al confine con il Turkmenistan, gli insorgenti operano con violenta efficienza ed invece coprono un ruolo totalmente marginale per rispettare i strettissimi caveat imposti dal Governo Zapateros, che impedisce loro non solo di partecipare ad azioni militari in sostegno degli alleati o degli afghani ma di dare loro supporto anche se richiesto e necessario e di colloquiare con la stampa soprattutto se italiana!


Il Generale di Brigata Marcello Bellacicco Comandante del RCW- Foto Daniel Papagni/Cybernaua

 

Gli italiani pur con caveat abbastanza ristretti sono entrati in azione più volte per tirare fuori dagli impicci   afghani,  americani  e... spagnoli! Con gli statunitensi in particolare ci scambiamo continuamente assistenza, come abbiamo potuto constatare di persona volando con elicotteri americani senza alcuna restrizione o filmando il generale David Petraeus il giorno di Natale scendere dal suo C130 e raggiungere Bakwa a bordo di un EH 101 della Marina Militare dal quale ero appena sceso, insieme ai miei colleghi e a bordo del quale avevamo fotografato e ripreso praticamente tutto!
I militari americani infatti sono totalmente disponibili nei confronti dei media praticamente da sempre, perché godono dell'appoggio incondizionato del Governo e della Nazione ma anche perché sanno che la loro opinione pubblica giustifica un errore, anche grave, ma non una bugia e la comunicazione se correttamente gestita diventa un pilastro della democrazia.
In parte questo vale anche per l'Italia.
Le nostre Forze Armate in pochi anni sono diventate molto più disponibili ed aperte nei confronti della stampa e dell'informazione e non solo verso quella ufficiale dei grandi editori.  
Da quando è stata sospesa la leva i militari italiano hanno scoperto di godere dell'appoggio della nazione che, in un sondaggio, pone proprio le Forze Armate al primo posto tra le istituzioni per efficienza e credibilità. 
Però a volte accadono episodi che confermano che qualche cosa nei rapporti tra Politica e Forze Armate non funziona ancora bene, come dimostra il modo un po' maldestro con cui è stata trattata sotto vari aspetti la vicenda del Caporal Maggiore Matteo Miotto  a cui aggiungo un piccolo episodio marginale che mi è accaduto durante la visita del Presidente del Senato Schifani a Herat lo scorso 24 dicembre. 
La sbianchettatura della bandiera con l'effige sabauda - comunque architettata - è una cosa miserevole, roba da minculpop o kgb e comunque sintomo di un'acerba conoscenza della comunicazione e di un mal digerito senso della democrazia: solo gli insicuri ed i deboli hanno paura della storia, che non può essere cancellata per motivi di falso pudore o tanto meno da aspettative di carriera. Io non so se il Caporale Miotto fosse monarchico oppure se ha steso la bandiera in onore del nonno, che ha fatto la guerra quando c'era il Regno d'Italia e a cui in qualche modo indirizza la sua bellissima lettera. Probabilmente facendolo ha sbagliato - ma non ho ancora capito come e perché - ma chi l'ha cancellata con il suo sbianchettatore digitale è più pericoloso per la democrazia del reperto storico esposto con gioia e soddisfazione da Matteo e non certo per offendere la Repubblica a cui ha giurato fedeltà e che nel servirla ha perso la vita. 
Herat 1 gennaio 2011 - Gli Alpini della Julia portano il feretro di Matteo Miotto sul C130 diretto a Roma-Fotografia di Daniel Papagni/Cybernaua
Come è morto Matteo? All'inizio si diceva colpito da un cecchino, poi durante un combattimento... Queste mezze bugie hanno incominciato a correre ed ora già si sente dire che sia stato ammazzato da fuoco italiano, dagli aerei americani, che si sia suicidato che... che....che.
All'asilo del corso di comunicazione si impara subito che la confusione e la mancanza di chiarezza generano sfiducia e rifiuto e mettono in allarme sul fatto che una credibilità decennale costruita sul continuo rispetto della verità  possa essere distrutta da una mezza bugia malgestita.
Scrivere di queste cose mi da un certo fastidio e preferisco ricordarmi delle lacrime che ho trattenuto con fatica quando ho visto il corpo di Matteo avvolto nel tricolore mentre veniva scaricato a braccia dal Black Hawk perché quello è stato il momento importante di tutta questa brutta storia, con la nostra bandiera e quella della base a mezzasta e le facce dei militari presenti, gente dura, con numerose missioni sulle spalle, con i visi tirati dalle lacrime trattenute
Questa storia della mezza verità o mezza bugia ha aumentato il dolore di tutti, anche di coloro che pur non accettando la guerra hanno un grande rispetto per coloro che liberamente si fanno carico di incombenze gravose, a testa alta, consapevoli di correre il rischio di pagare con la vita la fedeltà alle istituzioni e ai valori in cui credono.
Nascondersi dietro un dito è un atto di vigliaccheria, lontano dal concetto di democrazia e libertà che un giovane può esprimere anche esponendo la bandiera del nonno perché noi siamo il frutto della nostra storia, nel bene e nel male, che ci piaccia o meno.
L'altro episodio, marginale ma significativo del modo con cui il potere gestisce la comunicazione è di pochi giorni prima. 
Il 24 dicembre è giunto a Herat  il Presidente del Senato Schifani con un seguito di giornalisti politici.  Ha fatto a braccio un discorso che io ho trovato sincero e privo di retorica, poi ha tenuto una conferenza con gli stessi giornalisti al seguito parlando di tutte altre cose, questo secondo uno stile molto italiano che non riesco a capire:  quando i nostri rappresentanti istituzionali vanno all'estero in visita ufficiale parlano sempre delle beghe politiche nostrane, forse perché credono di essere ancora al centro del mondo o per dare più importanza alle loro parole!

Dopo la conferenza il presidente Schifani ha pranzato alla mensa della nostra base di Herat, seduto al tavolo del comandante e mangiando il cibo dei soldati, così come abbiamo visto fare tante volte  in tv a Clinton, Bush, Obama, Blair...
Mi è piaciuto tutto questo e così mi sono avvicinato al tavolo e ho chiesto al Presidente se potevo riprendere la scena, a mio avviso molto democratica e sicuramente vincente sotto il profilo della comunicazione. Schifani ha accettato ma non ho potuto fare la ripresa né ho potuto spiegare il perché la volessi fare. 
E' intervenuto il porta voce del Presidente che, in modi molto gentili, mi ha detto non gradiva che io facessi quella ripresa...
(Antonello Tiracchia)
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