Il confronto genera conoscenza, libertà e democrazia. L'indifferenza e l'ignoranza generano corruzione e malgoverno. Il dogma e il pregiudizio ideologico generano integralismo e conflitti.

venerdì 7 gennaio 2011

GUERRA, BUGIE E VIDEOTAPE

Appena sceso dall'EH101 della Marina Militare sul quale sta per imbarcarsi il gen. Petraeus-Fotografia di Giuseppe Lami

Mi sono portato in Afghanistan la mia copia de Il Grande Gioco di Peter Hopkirk, uno dei libri fondamentali per capire l'Afghanistan-Pakistan e il perché 137 mila soldati in rappresentanza di 48 nazioni sono qui ormai da quasi 10 anni.
Il fotoreporter Giuseppe Lami con cui, insieme a Daniel Papagni e Mirko Polisano, ho condiviso la tenda nel freddo della FOB di Bala Baluk, vedendo i miei tentativi di leggerlo assistito da una pila piazzata sulla testa e con le mani che reggevano il libro protette dai guanti che affioravano appena dal sacco a pelo,  mi disse che l'aveva letto ed era un bellissimo libro.
Un libro è uno strumento fantastico per rafforzare un'amicizia, soprattutto in una tenda in una base avanzata, bersaglio agognato per i razzi degli insorgenti e così incominciammo a raccontarci delle nostre recenti esperienze di viaggio nei paesi della confusione islamica, io dello Swat e lui del Balocistan, vicinissimo alla nostra tenda, poco più a sud-sud ovest, in Iran.
Fuori c'erano alcuni gradi sottozero e un warning per un altro probabile lancio di razzi contro la nostra FOB tenuta dai lagunari del reggimento Serenissima,  poco più grande di un campo di calcio e protetta più dall'imperizia trigonometrica dei bombaroli che da altri sofisticati sistemi guerreschi.
Rientrati a Farah con un convoglio di Lince siamo ripartiti per Herat a bordo di un elicottero Cougar dell'esercito spagnolo.
Sotto di noi, attraverso i grandi portelloni aperti, si vedevano scorrere le immagini del deserto afghano descritto da Hopkirk.  Evidenti come incisioni i solchi delle carovaniere, che per millenni hanno costituito la via di congiunzione tra l'Oriente estremo e l'Occidente mediterraneo, erano l'unica forma di antropizzazione ma ormai inglobata nel paesaggio naturale. Gurdando questo paesaggio fantastico ho intercettato il disappunto di Giuseppe Lami mentre indicava con uno sguardo i mitraglieri spagnoli, più attenti a controllare noi che il terreno sottostante. Tutti gli spagnoli presenti in Afghanistan hanno infatti ricevuto ordini severissimi di vietare l'utilizzo di telecamere e macchine fotografiche a bordo dei loro mezzi così come l'ordine tassativo di evitare qualsiasi possibilità di contatto armato con gli insorgenti, anche per aiutare gli alleati: se qualcuno si mette a sparare, chiunque sia, gas al massimo e strategia di fuga!

Giuseppe Lami mentre si imbarca sul Cougar spagnolo-Foto di Daniel Papagni/Cybernaua
Del resto sapevamo benissimo da esperienze precedenti che non è possibile fotografare, filmare o intervistare un militare spagnolo, ma che impedissero pure di filmare il paesaggio ci ha fatto proprio ridere.
Il motivo di questa censura di tipo  franchista è molto chiaro: i soldati spagnoli sono in Afghanistan ma in Spagna non ne parla nessuno, per il governo  Zapatero l'Afghanistan è un problema degli altri perché non vuole alienarsi l'integralismo di sinistra che, in quanto a pregiudizi dogmatici e intolleranza per la democrazia,  potrebbe tranquillamente fare coppia con l'integralismo islamico.
In Afghanistan i militari spagnoli sono circa 1600 concentrati per la maggior parte a Camp Arena ad Herat dove ha il suo quartier generale il Regional Command West la cui leadership è affidata al Generale di Brigata italiano Marcello Bellacicco della Julia e da cui dipendono circa 7600 uomini tra italiani, americani, albanesi, lituani, croati e... spagnoli.
Gli spagnoli dovrebbero mentorizzare i militari afghani  per metterli in condizione di controllare l'area di Badghis dove, al confine con il Turkmenistan, gli insorgenti operano con violenta efficienza ed invece coprono un ruolo totalmente marginale per rispettare i strettissimi caveat imposti dal Governo Zapateros, che impedisce loro non solo di partecipare ad azioni militari in sostegno degli alleati o degli afghani ma di dare loro supporto anche se richiesto e necessario e di colloquiare con la stampa soprattutto se italiana!


Il Generale di Brigata Marcello Bellacicco Comandante del RCW- Foto Daniel Papagni/Cybernaua

 

Gli italiani pur con caveat abbastanza ristretti sono entrati in azione più volte per tirare fuori dagli impicci   afghani,  americani  e... spagnoli! Con gli statunitensi in particolare ci scambiamo continuamente assistenza, come abbiamo potuto constatare di persona volando con elicotteri americani senza alcuna restrizione o filmando il generale David Petraeus il giorno di Natale scendere dal suo C130 e raggiungere Bakwa a bordo di un EH 101 della Marina Militare dal quale ero appena sceso, insieme ai miei colleghi e a bordo del quale avevamo fotografato e ripreso praticamente tutto!
I militari americani infatti sono totalmente disponibili nei confronti dei media praticamente da sempre, perché godono dell'appoggio incondizionato del Governo e della Nazione ma anche perché sanno che la loro opinione pubblica giustifica un errore, anche grave, ma non una bugia e la comunicazione se correttamente gestita diventa un pilastro della democrazia.
In parte questo vale anche per l'Italia.
Le nostre Forze Armate in pochi anni sono diventate molto più disponibili ed aperte nei confronti della stampa e dell'informazione e non solo verso quella ufficiale dei grandi editori.  
Da quando è stata sospesa la leva i militari italiano hanno scoperto di godere dell'appoggio della nazione che, in un sondaggio, pone proprio le Forze Armate al primo posto tra le istituzioni per efficienza e credibilità. 
Però a volte accadono episodi che confermano che qualche cosa nei rapporti tra Politica e Forze Armate non funziona ancora bene, come dimostra il modo un po' maldestro con cui è stata trattata sotto vari aspetti la vicenda del Caporal Maggiore Matteo Miotto  a cui aggiungo un piccolo episodio marginale che mi è accaduto durante la visita del Presidente del Senato Schifani a Herat lo scorso 24 dicembre. 
La sbianchettatura della bandiera con l'effige sabauda - comunque architettata - è una cosa miserevole, roba da minculpop o kgb e comunque sintomo di un'acerba conoscenza della comunicazione e di un mal digerito senso della democrazia: solo gli insicuri ed i deboli hanno paura della storia, che non può essere cancellata per motivi di falso pudore o tanto meno da aspettative di carriera. Io non so se il Caporale Miotto fosse monarchico oppure se ha steso la bandiera in onore del nonno, che ha fatto la guerra quando c'era il Regno d'Italia e a cui in qualche modo indirizza la sua bellissima lettera. Probabilmente facendolo ha sbagliato - ma non ho ancora capito come e perché - ma chi l'ha cancellata con il suo sbianchettatore digitale è più pericoloso per la democrazia del reperto storico esposto con gioia e soddisfazione da Matteo e non certo per offendere la Repubblica a cui ha giurato fedeltà e che nel servirla ha perso la vita. 
Herat 1 gennaio 2011 - Gli Alpini della Julia portano il feretro di Matteo Miotto sul C130 diretto a Roma-Fotografia di Daniel Papagni/Cybernaua
Come è morto Matteo? All'inizio si diceva colpito da un cecchino, poi durante un combattimento... Queste mezze bugie hanno incominciato a correre ed ora già si sente dire che sia stato ammazzato da fuoco italiano, dagli aerei americani, che si sia suicidato che... che....che.
All'asilo del corso di comunicazione si impara subito che la confusione e la mancanza di chiarezza generano sfiducia e rifiuto e mettono in allarme sul fatto che una credibilità decennale costruita sul continuo rispetto della verità  possa essere distrutta da una mezza bugia malgestita.
Scrivere di queste cose mi da un certo fastidio e preferisco ricordarmi delle lacrime che ho trattenuto con fatica quando ho visto il corpo di Matteo avvolto nel tricolore mentre veniva scaricato a braccia dal Black Hawk perché quello è stato il momento importante di tutta questa brutta storia, con la nostra bandiera e quella della base a mezzasta e le facce dei militari presenti, gente dura, con numerose missioni sulle spalle, con i visi tirati dalle lacrime trattenute
Questa storia della mezza verità o mezza bugia ha aumentato il dolore di tutti, anche di coloro che pur non accettando la guerra hanno un grande rispetto per coloro che liberamente si fanno carico di incombenze gravose, a testa alta, consapevoli di correre il rischio di pagare con la vita la fedeltà alle istituzioni e ai valori in cui credono.
Nascondersi dietro un dito è un atto di vigliaccheria, lontano dal concetto di democrazia e libertà che un giovane può esprimere anche esponendo la bandiera del nonno perché noi siamo il frutto della nostra storia, nel bene e nel male, che ci piaccia o meno.
L'altro episodio, marginale ma significativo del modo con cui il potere gestisce la comunicazione è di pochi giorni prima. 
Il 24 dicembre è giunto a Herat  il Presidente del Senato Schifani con un seguito di giornalisti politici.  Ha fatto a braccio un discorso che io ho trovato sincero e privo di retorica, poi ha tenuto una conferenza con gli stessi giornalisti al seguito parlando di tutte altre cose, questo secondo uno stile molto italiano che non riesco a capire:  quando i nostri rappresentanti istituzionali vanno all'estero in visita ufficiale parlano sempre delle beghe politiche nostrane, forse perché credono di essere ancora al centro del mondo o per dare più importanza alle loro parole!

Dopo la conferenza il presidente Schifani ha pranzato alla mensa della nostra base di Herat, seduto al tavolo del comandante e mangiando il cibo dei soldati, così come abbiamo visto fare tante volte  in tv a Clinton, Bush, Obama, Blair...
Mi è piaciuto tutto questo e così mi sono avvicinato al tavolo e ho chiesto al Presidente se potevo riprendere la scena, a mio avviso molto democratica e sicuramente vincente sotto il profilo della comunicazione. Schifani ha accettato ma non ho potuto fare la ripresa né ho potuto spiegare il perché la volessi fare. 
E' intervenuto il porta voce del Presidente che, in modi molto gentili, mi ha detto non gradiva che io facessi quella ripresa...
(Antonello Tiracchia)
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1 commento:

  1. Per me la presenza in Afghanistan delle nostre truppe è sbagliata e trovo intollerabile il mantra da Napolitano a Larussa a tutti gli altri che ad ogni vittima di una guerra di fatto affer mano che siamo lì a esportare la democrazia e a difenderci dal terrorismo . Sul piano meramente razionale questa seconda affermazione èè ridicola . Difendereste casa vostra dai ladri mettendo dei sistemi antifurto sulle Alpi e in Sicilia ?
    Circa lo stemma sabaudo il comportamento degli ultimi re lo rendono impresentabile Lorenzo

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