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mercoledì 1 giugno 2011

L'EMOZIONE CHE NON SI RACCONTA

Il giorno della vigilia di Natale ero in Afghanistan ad Herat presso la sede del RCW quando è arrivato l'Airbus 319 CJ del 31°Stormo con a bordo il Presidente del Senato Renato Schifani, il sottosegretario alla Difesa on. Guido Crosetto, il generale di C.d'A. Giorgio Cornacchione, comandante del COI  ed un folto gruppo di giornalisti parlamentari. Nel gruppo c'era anche una signora che partecipava a quello che accadeva stando sempre defilata e che notai veniva fotografata con discrezione quasi furtiva e sempre da lontano da un fotoreporter che conoscevo, un tipo molto sveglio. Mi sono così incuriosito al punto tale da spingermi a fare qualche ripresa, per rispettare il principio che quando si è in missione si deve riprendere tutto ciò che stimola la curiosità o la fantasia. Ad un tratto un militare del Col Moschin, senza gradi e nominativo sulla mimetica, si è rapidamente avvicinato ed in modo piuttosto brusco e deciso, addirittura strattonando il mio pass, mi ha intimato di non riprendere. Pur non capendo il perché ho spento la telecamera e mi sono dedicato ad altre inquadrature, la cosa sembrava finita li. Poi il fotoreporter Daniel Papagni mi ha spiegato chi fosse quella signora ed ho capito così l'intervento dell'incursore del Col Moschin e devo confessare che mi sono sentito a disagio per quella che a tutti gli effetti era stata una inutile paparazzata che oltre tutto non aveva nulla a che vedere con il mio lavoro.
Il pomeriggio ho così scritto questo articolo e l'ho consegnato a Mirko Polisano che l'ha inviato via internet a Maria Clara Mussa direttore del  magazine Cybernaua che l'ha pubblicato il giorno di Natale del 2010.



La ''non notizia'' di Natale, ad Herat il 25 dicembre 2010.

Il presidente Schifani ha fatto un bel discorso ai reparti schierati nel Piazzale Italia150 nella cittadella di Camp Arena, ma la vera notizia di oggi, 24 dicembre del 2010 qui ad Herat non è stata la visita ufficiale del presidente del Senato ma una “non notizia”.
A bordo dell’aeroplano della presidenza del Senato c’era anche una giovane signora distinta, che ha fatto di tutto per passare inosservata, quasi protetta da un piccolo gruppo di militari e alti ufficiali che non l’ hanno mai lasciata sola.
Questa signora compiva una visita privata.
Era la madre di Alessandro Romani capitano del 9° Reggimento Incursori Paracadutisti Col Moschin, schierato qui in Afghanistan all’interno della task Force 45.
Alessandro Romani è caduto in combattimento il 17 settembre scorso e sua madre è voluta venire sino qui a visitare i luoghi dove suo figlio ha vissuto e poter conoscere i “ragazzi” con cui suo figlio ha condiviso i rischi e le emozioni che solo chi ha saputo fare certe scelte conosce.
Perché per quanto uno di questi “ragazzi” possa raccontare (ammesso che abbia voglia di farlo) ai propri genitori, alla propria donna o agli amici più intimi alcune delle storie vissute, sarà sempre un’esternazione parziale di un bagaglio di emozioni e sensazioni che rimangono nel profondo del cuore di chi le ha vissute e condivise.
Emozioni che solo in parte percepiamo, seppure a volte magistralmente raccontate, dalla letteratura o dal cinema.
Esattamente come il dolore di un genitore che perde un figlio.
Ho solo provato a immaginare la scena che si è svolta all’interno del piccolo compound di Task Force 45 e sono stato travolto da emozioni da me dolorosamente vissute, quando le parole di fronte a realtà che non si è preparati ad accettare si sciolgono nella gola e si trasformano in lacrime durante un furtivo abbraccio che racconta tutto quello che c’è da dire.
Mi capita spesso di pensare al capitano Romani che non ho mai conosciuto personalmente, ma di cui ho ben presente l’immagine che ha fatto il giro dei media e che rappresenta un giovane uomo, bello e dall’aspetto atletico e volitivo, fiero di essere quello che appare.
Un giovane uomo caduto in combattimento per seguire i suoi sogni, difficili da raccontare anche alla propria madre.
Perché noi siamo l’arco che scocca la freccia e viviamo nel presente ed i nostri figli sono come la freccia che vola verso il futuro; ma non sempre è così.
Antonello Tiracchia

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