Il confronto genera conoscenza, libertà e democrazia. L'indifferenza e l'ignoranza generano corruzione e malgoverno. Il dogma e il pregiudizio ideologico generano integralismo e conflitti.

sabato 23 aprile 2011

LIBRI DIMENTICATI - 1

Il brano che segue è tratto dal libro EL ALAMEIN di Paolo Caccia Dominioni, una figura straordinaria di uomo e di soldato dotato di un raro talento artistico. Vi invito a fare una ricerca su internet per conoscerlo. Di lui non troverete traccia nei libri delle nostre scuole, confermando purtroppo che la recente polemica su un fazioso modo di intendere l’educazione scolastica della storia non sia proprio campata per aria. Le falsità e la manipolazione della verità, che è sempre scomoda ed imperfetta, diventa nel tempo un boomerang e colpisce anche quelli che l’hanno attivata. Io ho letto questo libro nel 1966 al tempo del liceo, me lo prestò il mio compagno di scuola Filippo Anversa, e mi è rimasto impresso nella memoria. 
Su Youtube
http://youtu.be/8ARU8pv-idg
ho postato un video sulla Folgore, con un intervista a Santo Pelliccia, classe 1923, già combattente nella Folgore ad El Alamein.


Pista Whisky, tra le Quote 99 e 154,
fine settembre 1942
La Folgore ha compiuto il terzo mese di esperienza africana. Tre mesi sono pochi di fronte ai trentasei delle contigue Brescia e Pavia, consumate e avvizzite; ma bastano per completare il tirocinio di uomini che sembrano fusi in acciaio inossidabile. Possono dissanguarsi per fatiche, perdite e dissenteria senza che l'animo e i muscoli vengano intaccati. Atleti adolescenti avevano sognato luminose discese dal cielo verso la vittoria, e hanno trovato la miseria dei capisaldi sabbiosi nella geenna del deserto di luglio. Ora il primo acquazzone autunnale ha offerto loro anche il tormento della notte gelida e dell'arena inzuppata. Ma la Folgore quaggiù, domina con il senso di superiorità proprio delle unità sicure: essa irride alla tracotanza di un alleato spesso incline a ignorare la presenza italiana, irride alla tracotanza di un nemico simile a un affarista arricchito cui è facile prevalere sopra i mendicanti che sostano nella sua contrada. Ogni giorno, nello schieramento dei paracadutisti, si ha notizia di nuovi atti generosi ed edificanti.
Nella sabbia soffice di una conca riparata sul margine orientale del pianoro di El Taqa hanno sepolto due caduti del VI/186°, comandato da Gianni Bergonzi: il caporalmaggiore paracadutista Guglielmo Principe da Trieste, di ventiquattro anni, e il paracadutista Francesco Salvini di ventidue, padovano. Secondo una prima versione non confermata, ma assai verosimile perché ambedue erano di altissimo animo e legati da grande amicizia, essi rientravano isolati da una pattuglia. Principe  cadde per il primo, e Salvini, accorso al suo richiamo, ne seguì la sorte.
Nell'atteggiamento in cui furono ritrovati è apparso che il Principe, trasformatosi a sua volta in soccorritore, si trascinò fino all'amico e trovò la morte mentre cercava di prodigargli qualche cura.
Più a sud, lo stesso giorno il II/187°, al comando di Mario Zanninovich maggiore di cavalleria, riceve il cambio dal V/186°, composto in prevalenza da antichi alpini che sorridono della nuova posizione. Questa “montagna”, è una nave solitaria di roccia calcinata, alta meno di cento metri sul deserto, con la prua diretta a levante, tra lunghe ondate di sabbia dove galleggiano, qua e là, tronchi di legno pietrificati e preistorici. I numerosi lombardi presenti trovano più facile sostituire all’onomastica beduina la propria, e  Haret el Himeimat diventa la “Carretta dj bei matt”. È l’ultimo bastione meridionale dell’armata corazzata. Più in là non v’è nessuno: soltanto mine, mine e ancora mine. Le vedette, dall’alto, avvertono qualsiasi movimento in un raggio di venti chilometri e incassano cannonate notte e giorno.
Ma il battaglione di Zanninovich non va a riposo, dopo la lunga permanenza sul roccione che ha conquistato in agosto: occupa in giornata una posizione chiave a cavallo della Pista Whisky, là dove convergono le due tragiche depressioni di Alinda e del Munassib, a destra del Kampfgruppe paracadutisti del maggiore Hübner, formato anch’esso di veterani che fecero Polonia, Norvegia, Rotterdam e Creta.
Gli ufficiali si affannano a distribuire la gente nelle buche e nei posti di vigilanza: all’alba ognuno dovrà essere già familiarizzato con la posizione, che è ancora più lugubre della precedente. Intanto i tedeschi avvertono che esce una loro pattuglia, per la consueta ispezione notturna ai campi minati tesi tra le linee: e Zanninovich manda loro due paracadutisti perché possano fare immediata conoscenza del terreno antistante. Così, dopo una giornata faticosa, preceduta dalla insonne notte del cambio, il veronese Butturini e il suo compagno hanno l’impressione di essere due corridori giunti sfiniti al traguardo, ai quali si dica: la corsa non è valida, dovete rincominciare subito. Ma non fiatano e sono pronti, in tenuta da pattuglia. Butturini ha un fratello sergente, sempre nello stesso battaglione: quella madre di diversi soldati ne ha due l’uno e l’altro folgorini, e per giunta sulla linea di El Alamein.
Il Leutnant, il Feldwebel e otto paracadutisti, sei tedeschi e due italiani, escono dal varco, si incolonnano lungo il sentiero di sicurezza, marcato dal solito filo telefonico, e si snodano silenziosi sotto un cielo nuvoloso che copre la luna. Bisogna fare molta attenzione al suolo: un inciampo, un rumore potrebbero essere fatali. Le mine anticarro non spaventano: occorrono centoventi chilogrammi per farle saltare, e tale peso non è certo un privilegio dei guerrieri di questo fronte: ma le insidiose mine a shrapnel o antiuomo esplodono sotto la zampetta di un gatto, e quando il dispositivo è a strappo, cioè a mezzo di uno spago perfettamente mimetizzato nella sabbia, la difesa è impossibile. Il settore nemico viene raggiunto e gli uomini si distendono a ventaglio, perché una ricognizione nel deserto non differisce da una esplorazione di cacciatorpediniere.
Ma una vampata rossa squarcia il buio, il Leutnant è caduto, c’è una nuova striscia di mine antiuomo che la notte scorsa non esisteva. Qui scatta l’inesorabile meccanismo della logica militare tedesca, nel cranio del Feldwebel che ha preso il comando, e gli dice che il compito, con l’accertamento della nuova difesa minata, è assolto. La perdita dell’ufficiale è dolorosa, ma non si possono rischiare altre vite preziose per ricuperarlo: la pattuglia rientra dopo qualche minuto di immobilità assoluta per assicurarsi che nessuna pattuglia inglese si stia avvicinando. Al varco i due folgorini vengono messi in libertà. Salutano e si avviano verso le proprie linee. In meno di cinque minuti potrebbero essere sdraiati nella loro buca, ma dopo qualche passo si fermano.
No, dicono. È scattato un altro meccanismo cerebrale, italiano. Quel tenente tedesco bisogna riprenderselo, vivo o morto. Se gli inglesi, avvertiti dallo scoppio, sono già sul posto, si vedrà, si farà il necessario, a moschettate e bombe a mano. E se l’orgoglio tedesco, al ritorno, sarà irritato, niente di male. Ancora cinquanta minuti, e una povera cosa sanguinante, che forse i dottori potranno riportare alla vita, è consegnata al battaglione Hübner. Non era un fardello leggero: la sabbia sprofondava come farina, una pena bestiale.
 “Noialtri”, dice lo spossatissimo Butturini ai tedeschi sorpresi “siamo abituati a fare così”.  E spiega che le mine a shrapnel, lassù sono molte, tutte a strappo, messe di fresco: chi ci torna deve fare attenzione.
 I due paracadutisti si sono svegliati brutalmente nel primo sonno e imprecano, ma non c’è tempo: via, via subito, i tedeschi vogliono i due folgorini di stanotte. Presso Hübner c’è proprio il generale Ramcke, comandante la brigata, piccolo e indiavolato, quello che ride sempre: e senza tante cerimonie appunta la croce di ferro sui camiciotti dei due italiani. Una stretta di mano, un saluto scattante: ora i due vanno dal maggiore Zanninovich a farsi vedere con quell’affare sul petto, ma soprattutto a riprendere il sonno interrotto.

mercoledì 13 aprile 2011

L'EUROPA DI BABELE


Mi dispiace, sono assente da molti giorni e non solo dal blog, così ho avuto difficoltà a scrivere di quelle cose che mi piace condividere con voi.
L'altra sera in Kosovo mentre ero a cena alla mensa di Villaggio Italia, la base KFOR a comando italiano di Peja-Pec, ho seguito  i telegiornali in onda sui monitor alle pareti e così ho deciso di scrivere della Libia come in realtà mi ero proposto di fare da tempo, perché è difficile credere che la Libia venga bombardata per ragioni umanitarie.
Non mi sembra sia mai stato bombardato, per puro esempio, il Sudan di Al Bashir che in quanto ad animatore di tragedie è un  vero campione,  avendo prodotto qualche milione di morti ammazzati tra Darfur e Sud Sudan.
Questa guerra libica a me sembra un epitaffio per l'Unione Europea dove, ognuna delle nazioni fondanti, va per la propria strada infischiandosene apertamente degli interessi comuni.

All'improvviso Gheddafi è diventato il principe del male non solo per quegli stessi Stati europei che hanno fatto lucrosi affari con la Libia ma anche per molti maestri del pensiero antioccidentale.
In Italia poi la questione assume un aspetto ancora più confuso perché una parte dell'opinione pubblica sostiene apertamente i bombardamenti immaginandosi di colpire, per una contorta forma di traslazione mentale, Silvio Berlusconi che ha stretto con Mu'ammar Gheddafi rapporti economici.
Per quanto mi riguarda questo post sulla Libia inizia una notte del mese di luglio del 1970 mentre ero sottotenente presso la Brigata Paracadutisti Folgore e fui svegliato per la solita esercitazione di allarme chiamata Drowsy Dog. Ma quella notte l'allarme non era un'esercitazione e poche ore dopo mi ritrovai come comandante di una squadra di armi a tiro teso armato e affardellato di munizioni e razioni K pronto per decollare con i nostri ansimanti C119 verso la Libia ed essere quindi lanciato sull'aeroporto di Tripoli per prenderne il controllo.
In Libia infatti un aitante e risoluto colonnello di nome Mu'ammar Gheddafi stava sbattendo fuori gli italiani e gli ebrei tripolini tenendosi però ben stretto i loro beni.

Dopo lunghissime ore di attesa, nascosti dentro un rovente hangar di lamiera dell'aeroporto di Pisa per non essere visti dai passeggeri della contigua aerostazione, non se ne fece nulla e tornammo in caserma più delusi che stanchi.
Il confronto era tornato nelle mani della politica e della diplomazia anche se un nutrito contingente della Folgore stazionò in Sicilia per un paio di mesi, senza però poter impedire che oltre 20 mila italiani, molti nativi o residenti in Libia da generazioni, persero tutto quello che avevano in nome di una rinnovata dignità nazionale libica.
La sinistra dell'epoca cantò vittoria, il Colonnello Gheddafi, l'uomo che aveva posto fine ad una corrotta ed incapace monarchia, indossando i panni del liberatore aveva vinto il suo primo round contro la tracotanza capitalista e coloniale.
Alcune settimane dopo durante una licenza a Roma incontrai una mia amica di università, diventata attivista di spicco della sinistra che, senza mezzi termini, mi disse che dovevo vergognarmi di indossare la divisa e soprattutto quel basco rosso ed accettare il fatto che il destino del nuovo mondo libero era ormai nelle mani di rivoluzionari come Gheddafi!

Dal 1970 ad oggi sono cambiate molte cose; la mia amica di università per esempio ha sostituito la lettura de Il Manifesto con quella de Il Giornale e raggiunge il suo casale in Maremma con una Porsche Cayenne, mentre l'Italia e la Libia hanno trascorso questo arco di tempo con fasi di amore e odio a corrente alternata, condite da grandi scambi economici ma anche da roboanti minacce della Libia verso l'Italia, come quando Gheddafi dichiarò tra il comico ed il tragico di voler occupare le Isole Tremiti!
Altre volte Gheddafi non ha solo minacciato ma ha acceso e non solo metaforicamente la miccia di numerosi e sanguinosi episodi di terrorismo.
Nonostante le sue mise da operetta che lo rendono ai nostri occhi una figura patetica Gheddafi era ed è un dittatore della peggior specie ma l'Europa, Italia compresa, in tutti questi anni non sembra ci abbia fatto troppo caso, del resto è risaputo che pecunia non olet!
Forse per questo motivo sono stati occultati o camuffati alcuni capitoli dei complessi rapporti tra l'Italia e la Libia che sono quanto meno curiosi.

Nel 1973 ci fu il primo attentato all'aeroporto di Fiumicino, ad opera di un gruppo di terroristi palestinesi guidati da Abdu Nidal che, si scoprì in seguito, erano stati addestrati e finanziati dalla Libia che aveva incominciato a sostenere ed istruire vari gruppi terroristici attivi contro l'occidente.
Mu'ammar Gheddafi divenne così un evidente bersaglio per l'intelligence americana.

Nel 1980 un DC9 dell'Itavia precipitò in mare per cause tuttora controverse ed oscure. Si dice che aerei dell'US Navy erano decollati per intercettare l'aereo su cui volava Gheddafi che sfuggì all'agguato perché avvisato dai servizi  italiani. Secondo questa versione il DC9 si trovò per puro e tragico caso al centro di una battaglia aerea e fu colpito da un missile vagante.
L'unica cosa certa di questa brutta storia è che sono morte 81 persone innocenti.
Una ventina di giorni dopo fu ritrovato sui monti della Sila un MiG 23 libico con il pilota in evidente stato di decomposizione. Furono in molti a pensare che fosse precipitato li proprio il 27 di giugno, il giorno della tragedia di Ustica, ma chi provò timidamente a sostenerlo con prove argomentate scomparve tragicamente dalla scena.
Meno di due mesi dopo questa storia, già piena di domande senza risposte, ci fu l'attentato alla stazione di Bologna; secondo qualcuno, immediatamente messo a tacere, questi tre avvenimenti sono tasselli di uno stesso puzzle che vedeva la Libia di Gheddafi come elemento passivo nei primi due episodi ed elemento ben attivo in un'azione vendicativa e di monito nel terzo.
Stranamente le indagini sulla strage di Bologna abbandonarono immediatamente la pista libica e furono condannati due estremisti di destra già carichi di ergastoli e quindi spendibili.

Così nonostante i sospetti immediatamente soppressi Gheddafi, deriso per le sue mise, temuto per la sua spietata risolutezza e rispettato per la sua capacità di manovrare il denaro, continuò ad essere un interlocutore importante per la nostra economia ma anche per una parte dei nostri servizi di intelligence come risultò da varie indagini e commissioni d'inchiesta ormai dimenticate.

Sempre in questa atmosfera di alleanze e tradimenti per onorare la figura di Omar al-Mukhtar - l'eroe nazionale libico - Gheddafi finanziò il film Il Leone del deserto diretto dal regista siro-statunitense Mustapha Akkad . Il film fu censurato in Italia per vilipendio alle Forze Armate per iniziativa dell'allora Primo Ministro Giulio Andreotti ma alcuni attori italiani si dichiararono felici di aver potuto denunciare i misfatti del fascismo, gratificati da un bel pacchetto di dollari elargiti da Gheddafi, sempre indicato dalla intellighenzia di sinistra come un paladino della libertà per tutta l'Africa e sostenuto da varie realtà istituzionali italiane.
A dimostrazione di come la storia viva di cicli  ripetitivi è interessante ricordare che durante il processo a Omar al-Mukhtar, nell'estate del 1931, Mussolini inviò un telegramma ai giudici incoraggiandoli a concluderlo con una pena esemplare ed in questo clima di giustizia sommaria  fu arrestato il capitano Roberto Lontano, con l'accusa di avere interpretato con eccessivo zelo il suo ruolo di difensore d'ufficio!

Tornando ai giorni nostri  vediamo come, nell'elenco delle tragiche e fumose vicende libiche, dodici anni dopo la prima strage di Fiumicino, esattamente  il 27 dicembre del 1985, un altro commando palestinese sempre sostenuto dai servizi libici, si ripresenta all'aeroporto romano lanciando bombe a mano e sparando sulla folla. Morirono 13 persone e se ben ricordo oltre 60 furono ferite; l'attentato venne condotto con una simultanea ed analoga azione all'aeroporto di Vienna, evidenziando l'attuazione di un progetto terroristico frutto di un attento e coordinato lavoro di intelligence.
Per ritorsione a questi ed altri attentati gli americani decisero di colpire nel 1986 la Libia per eliminare fisicamente Gheddafi, definito dal presidente Ronald Reagan un patetico pagliaccio.
Un raid aereo decollò in segreto dall'Inghilterra e da portaerei nel Mediterraneo per colpire la residenza di Gheddafi, guardandosi bene di sorvolare lo spazio aereo italiano ed avvisare nel dettaglio il nostro Governo, di cui i servizi americani non si fidavano.
Infatti Bettino Craxi, coerente con i suoi sentimenti antiamericani e di simpatia verso i despoti africani,  venuto comunque a sapere del raid, avvisò Gheddafi dell'imminente bombardamento, salvandogli così la vita.
Ma non c'è da stupirsi,  all'epoca gran parte dei nostri servizi segreti erano sul libro paga di Gheddafi e proteggevano esponenti del terrorismo mediorientale mentre la Fiat degli Agnelli usciva da una delle sue cicliche crisi finanziarie grazie ad una bella iniezione di petroldollari libici.
E' comunque interessante ricordare che Gheddafi ringraziò a modo suo Craxi sparando due missili Scud su Lampedusa, che ospitava una stazione LORAN americana, ma che fortunatamente non raggiunsero l'isola . Anche questo episodio, come tutto ciò che ha avuto a che fare con la Libia, è avvolto nel mistero del depistaggio. Secondo il generale Cottone, all'epoca capo di Stato maggiore dell'Aeronautica Militare, i missili non furono mai lanciati ed il boato che sentirono gli abitanti di Lampedusa furono i bang sonici di alcuni F104 italiani.
Nel 2008 durante un incontro italo libico alla Farnesina è uscito fuori che dopo questo ipotetico lancio di missili Craxi voleva attivare una rappresaglia aero marittima contro la Libia!
Confusione, depistaggi, mezze verità sono questi gli elementi chiave dei rapporti italo-libici in questi ultimi 40 anni.

Rimane il fatto che il 21 dicembre del 1988, dopo una lunga serie di attentati di minor importanza in tutta Europa, i servizi libici si vendicarono del bombardamento americano con un colpo grosso, facendo precipitare un 747 della Pan Am a Lockerbie in Scozia, uccidendo 270 persone.
I resti dei corpi di molti di questi sventurati passeggeri furono trovati sparsi per chilometri dopo essere precipitati nel vuoto da 9 mila metri per quasi due minuti!

Negli ultimi dieci anni nonostante queste premesse i rapporti con l'Italia sono diventati sempre più forti sotto il profilo dell'interscambio economico e delle forniture militari ed industriali.
Alla data di inizio dei bombardamenti oltre un quarto delle nostre forniture di idrocarburi provenivano dalla Libia grazie ad accordi siglati in questi ultimi anni in controversi e grotteschi incontri tra Berlusconi e Gheddafi, accordi comunque positivi per la nostra economia.

Il seguito di questo nutrito eppure parziale elenco di vicende è cronaca; la Francia del traballante governo Sarkozy decide di attaccare unilateralmente la Libia adducendo la difesa dei ribelli oppositori del regime di Gheddafi, per l'occasione definito come un despota sanguinario.
Non sappiamo come veniva definito Gheddafi quando la stessa Francia vendeva i suoi Mirage ed altre armi alla Libia in cambio del suo petrolio.
Non appena è scoppiata la rivolta libica sono emersi strani episodi che hanno coinvolto agenti speciali inglesi, francesi ed olandesi e subito dopo la Francia ha deciso di bombardare la Libia anticipando le decisioni del Consiglio di Sicurezza, seguita a ruota dall'Inghilterra dell'hung parliament dell'inconsistente David  Cameron e da altre nazioni, tra cui la stessa Italia che da questa storia ne esce comunque malconcia e come spesso accade ed è accaduto con un'immagine internazionale oscurata da ambigui comportamenti politici se non da tradimenti.
Tra l'Italia e la Libia c'era infatti un trattato che è stato letteralmente stracciato.
Non sappiamo che cosa accadrà dei nostri investimenti in Libia quando la guerra, meno breve del previsto, avrà termine.
Non sappiamo se le forniture di idrocarburi continueranno e a quali condizioni.
Sappiamo che siamo letteralmente invasi da migliaia di disperati che  provengono  dalla Tunisia (per ora).
Sappiamo che l'Europa che fa decollare i suoi aerei dalle nostre basi non è disposta ad aiutarci per risolvere il problema di queste migrazioni di massa.
Sappiamo che Francia, Inghilterra, Germania e Stati Uniti si incontrano e decidono sulla questione libica senza neppure avvisarci.
Adesso gli  Stati Uniti incominciano a dire che i bombardamenti aerei non sono risolutori del conflitto ma la necessaria fase propedeutica per mettere the boots on the ground!
Ma chi metterà gli scarponi dei propri soldati in Libia dove è oltretutto assai probabile che ci sarà una recrudescenza del fondamentalismo islamico?
E se questo avverrà quale sarà il tornaconto dell'Italia?

I bombardamenti in libia sono a mio avviso l'ulteriore conferma che l'Europa è una grande realtà bancaria in mano a pochi Stati, ma sotto il profilo politico è nel suo insieme una nullità totale, come  dimostrano le numerose domande senza risposta e questo fa sorgere pertanto un dubbio: e se a proposito dell'inutilità per l'Italia di stare in Europa avesse ragione Maroni?