Il confronto genera conoscenza, libertà e democrazia. L'indifferenza e l'ignoranza generano corruzione e malgoverno. Il dogma e il pregiudizio ideologico generano integralismo e conflitti.

lunedì 29 agosto 2011

SOTTO IL CIELO DI BAKWA

 
Foto Leonardo Arenare

Sono le 2 di questa mattina del 3 agosto, ora afghana, le 23.30 in Italia del 2 agosto.  Sono sdraiato su una brandina da campo e guardo il cielo che sovrasta il deserto intorno a Bakwa. Un cielo incredibilmente luminoso, come ormai in Italia non è più possibile vedere per l’inquinamento atmosferico e luminoso. I ragazzi del 2° Plotone della XIV Compagnia Pantere del 186° Rgt. Paracadutisti dormono nelle brandine affiancate alla mia, oppure guardano il cielo come me, solo i due gunner di turno sono realmente svegli, alla ralla, e controllano il loro settore di tiro con le camere termiche. I due Lince ronfano sornioni, a bordo ci sono così tanti apparati che non è possibile spegnere il motore. Ci sono 32 gradi di temperatura, non c’è umidità, solo una brezza leggera. Intorno a noi, ma lontani, sono disseminati secondo schemi precisi, almeno altri 10 VTLM Lince e altrettanti pick up dell’Afghanistan National Army e alcuni altri dell’ANP, la polizia. 
 Foto Giuseppe Lami
Sopra di noi c’è un Predator della nostra Aeronautica Militare, invisibile e silenzioso, che fa la sentinella con le sue diavolerie elettroniche. Con i binocoli per la visione notturna si vede chiaramente il suo raggio laser che sembra generato dalle stelle e che scansiona il terreno. È una visione inquietante anche se è il nostro angelo custode.
Resterà in volo tutta la notte e ci accompagnerà durante l’attività di search; a centinaia di chilometri di distanza ad Herat almeno 4 uomini pilotano ed analizzano la moltitudine di dati raccolti da questo strano aereo senza pilota e sono pronti a riferire al nostro TOC ogni minimo cambiamento della situazione tattica intorno a noi.
Alle 4.30 l’intero dispositivo si mette in moto, dividendosi in due gruppi. Gli scherzi e l’allegria della notte all’addiaccio non ci sono più. Tutto funziona secondo schemi collaudati.  Il mio dispositivo raggiunge, muovendosi velocemente in fuoristrada,  il nostro primo obiettivo, un compound isolato. Lo scopo dell’operazione è raccogliere informazioni e individuare alcuni talebani che l’intelligence ritiene usino questi piccoli villaggi come base. In prossimità dell’obiettivo alcuni i Lince si allargano a ventaglio ed in pochi minuti il piccolo complesso di case è, come si dice nel linguaggio militare, cinturato. La grande distesa di questa valle è piatta come un biliardo, i tiratori scelti e gli uomini in ralla costituiscono uno sbarramento reale per chi vuole scappare dal villaggio o per chi vuole entrarci o solo avvicinarsi. Sono dentro un’operazione militare vera, i colpi in canna sono veri, il caldo è vero ed anche la tensione, che mette in circolo l’adrenalina, è vera; lo vedi dagli occhi di questi ragazzi, non battono le palpebre, sono ben aperti e si capisce che sanno bene ciò che sta accadendo. Sono il quinto passeggero del Lince e mi muovo letteralmente incollato al comandante il mio plotone, il maresciallo Gabriele Pinna, detto teschio; è un mezzofondista appena può si fa qualche chilometro di corsa, dentro la base, giusto per tenersi in forma! 
Abbiamo avuto un ordine tassativo  “…potete venire solo rispettando gli ordini dei comandanti a cui siete stati assegnati!”. Per me ed il mio collega Giuseppe Lami va benissimo, sappiamo che siamo i primi reporter civili ad essere qui e seguire un’operazione simile, ci riteniamo dei privilegiati. Poco distante da me c’è Leonardo Arenare, il combat-cam del Reggimento, ha la reflex ma anche il 70/90 e tutto il resto dell’armamentario di un fuciliere paracadutista, ma rispetto agli altri si muove con maggiore indipendenza. Cerco di imitarlo e pian piano il comandante del plotone mi lascia maggiore autonomia, si fida, ha visto che rispetto le regole basi di un’operazione militare. Quando c’è qualche cosa che non devo riprendere, per non offendere gli abitanti di questo piccolo angolo di mondo, mi lancia uno sguardo e fa passare la mano davanti alla gola: vuol dire taglia, lascia perdere. Tutto si svolge con grande calma, i rappresentanti dell’esercito e della polizia afghana sono loro che fanno le domande, sono loro che entrano nei locali, ma è comunque un’irruzione e può succedere di tutto. I nostri controllano, sono pronti ad intervenire. Con il comandante afghano c’è il suo mentor, è del San Marco, si lanciano spesso sguardi di intesa oppure parlano tra di loro a bassa voce, direttamente in inglese o con l’interprete, in mimetica anche lui ma senza stellette e patch, il viso è parzialmente coperto da una kefiah.
Andiamo avanti per ore, compound dopo compound. A metà giornata rientriamo alla base scortati da due Apache americani, siamo provati dalla fatica e dai 50° di temperatura esterna, dalla tensione e dalla complessità dell’operazione. Non è stato sparato neanche un colpo, non c’è stato nessun episodio sgradevole, gli afghani hanno arrestato alcuni presunti insorgenti e la nostra task force ha effettuato numerosi controlli biometrici e raccolto ulteriori informazioni. Una volta dentro la FOB Lavaredo la tensione è ormai calata, i ragazzi non perdono tempo, svuotano il Lince, rassettano armi ed equipaggiamento mentre i comandanti di plotone ed i comandanti di squadra vanno a rapporto dal giovane capitano Salvatore Piazza che comanda la compagnia. Io e il mio collega Giusepe Lami, che era nell’altra task force, raggiungiamo la nostra tenda e ci togliamo l’elmetto e la pesante vest con le piastre di protezione balistica. Poi, dopo una rapida visita al container delle docce ci mettiamo al lavoro, a Bakwa c’è una linea wifire satellitare, possiamo spedire foto e pubblicare questo post sulla front page di TNM.
Antonello Tiracchia*, Bakwa, FOB Lavaredo - 3 agosto 2011 
*Inviato di Tactical News Magazine in Afghanistan



Questi due post sono stati inseriti sulla front page di Tactical News Magazine rispettivamente il 3 agosto (commento) e 8 agosto (album fotografico) ed hanno totalizzato 18.188 visualizzazioni.

lunedì 22 agosto 2011

STORIE DA UN ALTRO MONDO

 La nostra è stata una nazione di migranti che una volta inseriti nella vita sociale dei paesi che gli hanno accolti hanno saputo ricambiare con dignità ed onore la fiducia e la possibilità per una vita migliore, come questo ragazzo italo americano, un vero Eroe negli USA. Non dovremmo dimenticarlo quando qualcuno alla frontiera ci chiede aiuto ed asilo
Questo post è tratto dal sito di TACTICAL NEWS MAGAZINE e racconta la storia del sergente paracadutista italo-americano Salvatore Giunta, di origine siciliana,  il primo soldato Usa vivente a ricevere la Medaglia d'Onore dalla fine della Guerra del Vietnam.


Durante un'intervista televisiva alla domanda che cosa aveva provato nel ricevere la decorazione dal Presidente degli Stati uniti ha detto: "...da una parte è un grande onore, ma dall'altra il pensiero va inevitabilmente ai compagni che non sono più in vita". 


Giunta, della 173a brigata aerotrasportata, ha ricevuto la decorazione per avere salvato la vita a diversi compagni feriti quando il suo plotone cadde in una imboscata dei Talebani nell'ottobre 2007 in Afghanistan. Iuna delle più violente battaglie nella valle di Korengal, è riuscito da solo a resistere ad un assalto di decine di talebani. 25 anni, americano con origini italiane, si è guadagnato la medaglia nella valle di Korengal, provincia di Kunar, Afghanistan. Un posto molto vicino all' Inferno, infestato dai talebani.

I FATTI
È la notte del 25 ottobre 2007. Giunta è su un crinale, in coda a una fila di parà. Avanzano con cautela, ma finiscono comunque in una trappola. Ben preparata. Gli insorti si sono disposti a L, una manovra che se è eseguita correttamente permette di spazzare via un plotone intero. E i talebani ci provano aprendo un fuoco intenso puntando sulla metà della fila. È il «muro di piombo»: una tattica per spezzare il reparto nemico e poter catturare i militari isolati. In pochi istanti cadono, feriti, gli uomini in testa. Il soldato Eckrode, i sergenti Erick Gallardo e Joshua Brennan, il medico Hugo Mendoza che spira, poco dopo, per un' emorragia. Piovono proiettili e granate. Un colpo raggiunge al petto Giunta, ma per fortuna il suo giubbotto in kevlar resiste.

Ammaccato, «Sal» si rimette in piedi, cerca di capire la situazione. Scorge più avanti i compagni sotto tiro, uno ha la mitragliatrice inceppata. Passano pochi secondi - «10 o 15 al massimo», dirà il sergente - e Giunta va al contrattacco. Con due parà avanza sparando per raggiungere Eckrode. Ci riesce. Lascia gli altri ad assistere il ferito e, da solo, prosegue verso una coppia di talebani. Si è accorto che stanno per trascinare via il sergente Joshua Brennan. Per Sal il compagno è più di un commilitone, è come un fratello. Non vuole lasciarlo nelle mani dei terroristi. Lancia l' ultima granata, svuota il caricatore. La carica disperata ha successo. Uccide un talebano e costringe alla fuga l' altro. Sal resta con Brennan in attesa dell' elicottero. Joshua chiede della morfina per placare il dolore. Giunta lo rincuora: «Presto sarai fuori di qua». Invece il sergente Brennan muore qualche ora più tardi. Quando, mesi dopo, Giunta descriverà la battaglia non parlerà da Rambo. «Non sono corso in mezzo ai proiettili per salvare un commilitone. Non ho fatto nulla di coraggioso o eroico. Volevo solo essere al suo fianco, nascondermi dietro la stessa roccia e sparare sul nemico». Sal - dicono gli istruttori - si è comportato nel modo giusto. Quando sei sotto il fuoco devi prendere la decisione migliore non per te ma per il team. Solo così puoi tirarti fuori dai guai e sopravvivere.



Giunta lo ha ripetuto ai suoi genitori, Steve e Rose: «La medaglia dovrebbe andare al soldato che era alla mia destra e a quello alla mia sinistra». Insieme al riconoscimento ufficiale, è arrivato ancora un grazie dalla madre e dal padre di Joshua Brennan. «Sal ha riportato casa il corpo di nostro figlio e abbiamo potuto celebrare un funerale con la bara aperta. Chissà cosa avrebbero potuto fare di lui i talebani...». Giunta è rientrato, dopo due turni afghani, alla base americana di Vicenza, dove vive con la moglie Jenny. E i ribelli sono tornati nella valle di Korengar: il Pentagono ha deciso di lasciare la regione dopo aver perso 40 soldati in cinque anni. Giunta, che è adesso dislocato a Vicenza, ha detto di non avere fatto niente di straordinario: "Tutti al mio posto avrebbero fatto la stessa cosa", afferma. "Sono forti le memorie delle persone con cui vorrei condividere questo onore - ha detto in una intervista via satellite da Vicenza - ma non avrò più questa opportunità perché non sono più in vita". La moglie Jenny, intervistata al suo fianco, ha detto di sperare che il marito "non sarà più dislocato in zona di combattimento perché non è facile vivere col pensiero del pericolo al quale la persona che ami è esposta". Dalla Guerra di Seccessione nel 1862 sono state assegnate solo 3.466 Medaglie d'Onore del Congresso. Il soldato cui viene conferita, a prescidere dal grado, ha il diritto di essere salutato militarmente per primo da tutti i generali e ammiragli e anche dallo stesso presidente, il comandante in capo delle Forze Armate.

lunedì 15 agosto 2011

IL VALORE DELLE COSE NELLA FOB LAVAREDO A BAKWA

 
 Foto: Giuseppe Lami
Bakwa, Afghanistan, 4 agosto 2011-FOB Lavaredo
Cari amici, rileggendo i testi mi accorgo che sono pieni di refusi ed a volte anche di errori di sintassi... mi scuso per questo, ma non ho fisicamente  tempo di limare i post scritti sempre di getto ed in situazioni di disagio. Vi ringrazio per i commenti e l'attenzione che ci dedicate che vi assicuro sono per noi un motivo in più per giustificare la nostra presenza in questo paese martoriato dalla violenza che nasce dalla miseria e dall'ignoranza. Tutti i soldati italiani e i membri dei corpi militarizzati dello Stato che abbiamo incontrato qui in Afghanistan in questi ultimi 12 mesi sono veramente in gamba, equilibrati e professionali.  Tra questi i "ragazzi" del 186° Reggimento Paracadutisti ed i Guastatori della XXI Compagnia dell'8° Reggimento di Legnago che presidiano il distretto di Bakwa hanno qualche cosa di speciale, che scorre nelle loro vene e che lubrifica i loro cuori. Ieri notte eravamo stipati dentro la tenda che fa da mensa, dove abbiamo assistito alla consegna dei gradi di capitano al tenente Cercone da parte del col. Lorenzo d'Addario, che ha anche fatto un discorso di addio ai suoi paracadutisti perché sta per lasciare il comando del 186°, ed i suoi ragazzi lo hanno ringraziato urlando Folgore! Poi, spontaneamente,  hanno intonato "Quando più aspra in guerra...." il comandante del 186° che aveva già abbandonato la tenda è rientrato dalla porta posteriore ed in piedi sulla tavolata centrale della mensa ha cantato con i suoi ragazzi. Non esistono parole, video e fotografie per descrivere o raccontare le emozioni ed i sentimenti che hanno scompigliato i pensieri di tutti quanti... un momento magico che ha fatto vibrare le corde dell’anima ed anche io, nonostante il mio inveterato cinismo, ho sentito gli occhi inumidirsi al punto tale che non riuscivo più a mettere a fuoco e anche adesso che scrivo faccio fatica a controllare le emozioni nel tentativo di raccontare questo privilegio che la vita ha riservato a me ed al mio compagno d’avventura Giuseppe Lami. Ecco perché il nostro vero “salario” sono i vostri commenti che ci spingono a lavorare sempre con maggiore impegno per divulgare le storie e le esperienze degli italiani in uniforme, così degnamente rappresentati dai ragazzi della FOB Lavaredo, qui a Bakwa, Afghanistan, nel mese di agosto dell’A.D. 2011.
Antonello Tiracchia*, Bakwa, FOB Lavaredo - 3 agosto 2011 
*Inviato di Tactical News Magazine in Afghanistan
 
 Postato sul sito di Facebook di TNM il 4 agosto: 10.023 visualizzazioni dopo 12 ore!

sabato 13 agosto 2011

COSE CHE NON SI POSSONO COMPRARE

Foto di Giuseppe Lami

Questo è un fatto molto personale ma che nasconde una grande verità: è la conferma che L’ESCLUSIVO CATALOGO DELLE COSE CHE NON SI POSSONO COMPRARE può diventare sempre più vasto per chi ha voglia di cercare. Per esempio trovarsi ad Herat, Afghanistan nord occidentale, ed avere l’onore di farsi sistemare il basco dal generale Carmine Masiello, comandante della Brigata Paracadutisti Folgore e comandante del RC-W e poi posare shoulder-to-shoulder insieme a lui per una ripresa video ed una fotografia è una di quelle realtà che non si possono comprare!
Antonello Tiracchia*, Herat, Camp Arena RC-W - 9 agosto 2011 
*Inviato di Tactical News Magazine in Afghanistan
Postato sul sito di Facebook di TNM il 10 agosto: 9.522 visualizzazioni dopo 24 ore.
 

venerdì 12 agosto 2011

I TIRATORI DI BAKWA

(Questo post è tratto dal diario Afghanistan Felix pubblicato sul sito di Facebook della rivista TACTICAL NEWS MAGAZINE tra il 16 luglio ed il 10 agosto 2011- Per gentile concessione dell'Editore)

   
foto: Giuseppe Lami

Scusate ma oggi sono sul polemico spinto, se siete buoni d’animo cambiate post! Innanzitutto io e Giuseppe siamo reduci da una scorta ad una colonna di oltre 200 mezzi che ha avuto come start line la nostra sveglia alle 4 di mattina a Bakwa e la end line alle 23 quando  abbiamo raggiunto  Farah e ci siamo buttati su una cosa polverosa  che qui chiamano branda. Ho perso inoltre i miei occhiali e le mie dita, leggiadre come hot dog, si ingarbugliano sulla  tastiera del note book il cui schermo è una cosa luminosa e annebbiata piena di polvere, come del resto tutto qui.  Chiaro?  Avete copiato il mike dello scenario odierno? Bene, allora procediamo  con il nostro diario.

La notte a Bakwa ti addormenti a pelle di leone per il caldo, la fatica ed i disagi (parlo naturalmente di me che sono, come dire, leggermente vintage) accompagnato dal suono di armi automatiche. Non ci fa caso nessuno ed anche noi ci siamo abituati.  Sono i militari afghani dell’ANA che hanno  il campo confinante con il nostro e nel dubbio, quando qualcosa non li convince, prima sparano...

 
foto: Leonardo Arenare
Quando  la situazione diventa più complessa ed il sofisticato sistema di difesa del campo lo ritiene  opportuno intervengono  i ragazzi del plotone mortai che sparano un colpo di 120. In questo caso anche se vuoi dormire e continuare a fare l’indifferente non ci riesci. La terra trema anticipata da un tonfo sordo come se fosse colpita da una locomotiva lasciata cadere da un centinaio di metri di altezza e dentro la tenda quintali di polvere,  annidati dovunque,  per il contraccolpo  si spandono per l’aria. Se il mortaio non basta scatta l’allarme e smadonnando ci si ritira dentro i rifugi. A quel punto, prima di sparare raffiche di mitragliatrici  di tutti i calibri, sulle altane arrivano i tiratori scelti. Il loro compito è quello di dissuadere con un tiro selettivo i “tango” nottambuli che approfittano della notte per spargere di IED la zona circostante la base. Questa massa variegata di delinquenti  comuni e di “illuminati dal verbo di Allah” sanno che  gli IED  sono la loro unica arma efficace per quanto vile e subdola.  Poveretti, vanno capiti! Tutte le volte che hanno provato  ad ingaggiare uno scontro diretto con i nostri  le hanno prese di santa ragione, scatenando urla di dolore  tra i loro sostenitori  italiani,  con cui hanno in comune il tumore del dogma e l’odio preconcetto per l’Occidente; ma di questo avremo occasione di scrivere nel dettaglio sulle pagine della rivista, adesso torniamo a Bakwa sotto un ipotetico attacco.

Per un raggio di diversi chilometri la zona che circonda la base è identificata da precisi target e settori di tiro. Sulla testa della  base un pallone frenato controlla con camere termiche e altre diavolerie elettroniche  alla star trek cosa succede.
 

Foto: Giuseppe Lami

I tiratori scelti, anche di notte, raggiungono  le loro postazioni  e identificati i loro bersagli  decidono di intervenire con il Barrett M107 cal. 12,7 (che botto ragazzi!)  o con il Sako .338 Lapua Magnum che sarà più “piccolino” ma anche lui mi dicono fa tanta “bua”.  Il puntatore traguarda il target (già identificato da una serie di rilevamenti precedenti)  e il tiratore spara, infilando i suoi copi in “sagome virtuali” che vanno dai 25x25 cm di ingombro in su, a seconda della distanza. Periodicamente  il team riverifica i target sul terreno sparando alcuni colpi. Se poi nel caso di un tentativo di disturbo o di allocazione di un IED  i “tango” dovessero insistere e non si fanno “intimidire” dai colpi di dissuasione  dei tiratori la situazione diventa “politicamente scorretta” ed il fuoco da selettivo  e intimidatorio diventa di neutralizzazione che è un modo “politicamente corretto” per dire che i nostri fanno la “bua finale” a quegli “eroici difensori della libertà" con grande dispiacere dei pacifinti nostrani!

Antonello Tiracchia*, Bakwa, Task Force South-East - agosto 2011 
*Inviato di Tactical News Magazine in Afghanistan

IL GIORNO DELLO SCIACALLO

Questo che segue è l'editoriale del n.7 della Rivista 
TACTICAL NEWS MAGAZINE attualmente in edicola


Ma che democrazia è quella dove alcuni parlamentari eletti con i voti di pochi cittadini ma pagati con lo stipendio di tutti - quindi di fatto nostri dipendenti  -  appena possono rimestano impunemente sulla morte dei nostri soldati per uno straccio di visibilità mediatica?
Mi riferisco in particolar modo a un politico italiano che ha fatto della legalità e della lotta contro il crimine la sua bandiera. Oggi ad Herat ho visto su SKY TG24 la sua esternazione a commento della morte del caporale maggiore paracadutista del Reggimento Nembo  David Tobini.
Il politico in questione ha detto:… che dobbiamo tornare a casa, andare via dall’Afghanistan perché la guerra è anticostituzionale!
Queste affermazioni non sono accettabili per vari motivi, soprattutto da un esponente del parlamento che per principio immaginiamo colto e leale. Innanzitutto in Afghanistan non c’è una guerra e la Costituzione della Repubblica Italiana prima di invocarla andrebbe letta; in particolare l’art. 11 dopo averlo sillabato con attenzione sino in fondo andrebbe anche capito.
L’ignoranza, nel senso di parlare di qualche cosa che si ignora, non è accettabile da un parlamentare visto che ha i mezzi per sopperire alla sua approssimazione, a meno che non sia strumentale, chiedendo informazioni precise al suo numeroso esercito di consulenti e portaborse, anche questi pagati da tutti noi. Se poi il parlamentare per un’infima manciata di voti rimesta sulla morte di un servitore della Repubblica, caduto mentre compie il proprio dovere, questo parlamentare è uno sciacallo. Non mi riferisco specificatamente al politico che ho citato come esempio, ma a tutti coloro che lo seguono in  questa squallida farsa mal camuffata da libertà di espressione democratica.
Chiedere unilateralmente il ritiro delle nostre Forze Armate dall’Afghanistan ogni volta che muore un nostro soldato è come chiedere lo scioglimento delle forze di polizia ogni qualvolta un loro esponente perde la vita ad opera della malavita; ma significherebbe anche uscire dal contesto internazionale dove la nostra credibilità è data in gran parte da ciò che fanno i nostri militari in Afghanistan e non certo dalle dichiarazioni di alcuni parlamentari nostrani a caccia di voti.

Il 25 luglio eravamo a Shindand, dormendo in tenda come tutti i nostri soldati presenti in quella base e ci siamo alzati all’alba per documentare un check point con l'11° Reggimento Bersaglieri. Trenta chilometri in tre ore, a bordo del Lince, per scortare un carico di materiale di costruzione destinato ad un posto di polizia a protezione del bazar di Shindand e poi due ore a 48° senza un filo d'ombra che non fosse la nostra, smerigliati da un vento rovente, poi altre tre ore di Lince per tornare indietro. Per me ed il mio collega Giuseppe Lami è stato certamente faticoso, anche i rischi erano (quasi) gli stessi dei bersaglieri dell’11°. C’è però una sostanziale differenza: noi siamo degli osservatori occasionali, loro, i nostri soldati, fanno questo tutti giorni su mandato del Parlamento!
Durante l’operazione abbiamo saputo di David Tobini, morto durante un combattimento a seguito di un’azione militare delle truppe afghane, a cui noi diamo supporto, per instaurare un regime di legalità in un paese per decenni privo di qualsiasi regime che non fosse violenza e sopruso.
Siamo quindi ripartiti la sera stessa con un convoglio di Lince scortati da due Freccia per essere presenti, dopo tre ore di Ring Road, all’apertura della camera ardente a Piazza Italia 150.
Per me e Giuseppe Lami è la seconda volta che partecipiamo, sempre qui ad Herat, ad una simile cerimonia in poco più di 6 mesi. È un'esperienza che lascia il segno anche a chi ne ha già molti, di segni. L'opinione pubblica - ma soprattutto la classe politica - dovrebbe prendere atto che i nostri soldati qui stanno facendo un lavoro fantastico sul piano della governance e di conseguenza anche sotto il profilo umanitario, ma stanno anche scompigliando le carte di innumerevoli gruppi armati che si contendono con la violenza e sistemi "mafiosi" il controllo del territorio. I soldati possono anche distribuire nutella e coperte ma la loro missione primaria è un'altra: peace keeping vuol dire che si deve porre fine ad una situazione conflittuale, quando questa sarà finita ci sarà la pace. La mission primaria dei soldati è proprio questa: conquistare la pace anche con l'uso delle armi, tutto il resto sono solo corollari e chiacchere da bar. Non riconoscerlo, non ammetterlo, non dirlo all’opinione pubblica o mimetizzarlo come un viaggio di anime pie della caritas con panettoni e magliette di lana è un'offesa alla memoria dei nostri militari che sono morti facendo il loro dovere su mandato del Parlamento ed è un'ignobile speculazione sul dolore dei famigliari. Se un’errata interpretazione del concetto di democrazia coincide con il politicamente corretto dei cacciatori di consensi elettorali alla maniera di alcuni nostri politici io voglio essere molto scorretto dicendo che i Funerali di Stato sono diventati una passerella delle vanità della classe politica e pertanto proporrei meno omelie politiche e più intime cerimonie militari, che piacciono ai soldati e questo è più che appagante, perché sono loro a morire! Poi vorrei che alle parole di circostanza seguissero fatti concreti! Perché è dopo i funerali - quando le porte della basilica si sono chiuse ed tecnici delle emittenti televisive sono da qualche altra parte a documentare ballerini sotto le stelle o partite di calcio - che si capisce quanto la classe politica ama e rispetta i propri soldati, in base a quanto fa per i famigliari in termini concreti, reali e duraturi nel tempo.
Nel frattempo i media di riferimento,  invece di interpretare i fatti in base al gruppo politico di appartenenza, iniziando ad informare sui fatti in quanto tali impedirebbero a molti esponenti del parlamento di fare meschine figure.
(Questa signora con il basco è la madre di David Tobini)
1° Caporal Maggiore David TOBINI Paracadutista del reggimento Nembo della Brigata Folgore, caduto in combattimento a Bala Mourghab (Afghanistan) il 25 luglio 2011: PRESENTE!
Antonello Tiracchia, Herat 26 luglio 2011
(Inviato di Tactical News Magazine in Afghanistan)

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