Il confronto genera conoscenza, libertà e democrazia. L'indifferenza e l'ignoranza generano corruzione e malgoverno. Il dogma e il pregiudizio ideologico generano integralismo e conflitti.

venerdì 31 dicembre 2010

CAPODANNO A HERAT

Fotografia di Giuseppe Lami
Ieri sera dopo la cena presso la mensa di Camp Arena, (erano le 20 ora locale, tre ore e mezzo avanti l'ora italiana) stavo ultimando i preparativi perchè stamane secondo i programmi dovevo decollare per il Gulistan embedded al 7° Reggimento Alpini. 
Sulla base era già calata un'aria di tristezza per la notizia di un Alpimo ucciso da uno sniper, di cui i media avevano già diffuso il nome.
Così un'ora più tardi mi sono ritrovato all'aeroporto di Herat ad aspettare la salma del Caporal Maggiore Matteo Miotto, Alpino del 7° Rgt Alpini della Brigata Julia, che è arrivata a bordo di un elicottero americano scortato da un altro elicottero.
Altri Alpini hanno scaricato il corpo avvolto in una bandiera tricolore in un silenzio spettrale acquito dal freddo e dall'oscurità dell'aeroporto.
Subito dopo è stata aperta la camera ardente nella sala Italia 150.

La cerimonia è stata essenziale ma colma di sacralità e mi ha profondamente commosso, generando un ricordo così forte che probabilmente non dimenticherò mai. 
Questo è stato il mio Capodanno 2011 a Herat, Afghanistan. 




Fotografie di Giuseppe Lami
Questa è la lettera che Matteo ha spedito ad ottobre al Sindaco di Thiene che l'ha letta al Consiglio Comunale durante la commemorazione del 4 Novembre.
Per lo stile e la sensibilità che la permane è diventata un documento cult.
Vi invito a leggerla e diffonderla.

Voglio ringraziare a nome mio, ma soprattutto a nome di tutti noi militari in missione, chi ci vuole ascoltare e non ci degna del suo pensiero solo in tristi occasioni come quando il tricolore avvolge quattro alpini morti facendo il loro dovere.

Corrono giorni in cui identità e valori sembrano superati, soffocati da una realtà che ci nega il tempo per pensare a cosa siamo, da dove veniamo, a cosa apparteniamo...

Questi popoli di terre sventurate, dove spadroneggia la corruzione, dove a comandare non sono solo i governanti ma anche ancora i capi clan, questi popoli hanno saputo conservare le loro radici dopo che i migliori eserciti, le più grosse armate hanno marciato sulle loro case: invano. L'essenza del popolo afghano è viva, le loro tradizioni si ripetono immutate, possiamo ritenerle sbagliate, arcaiche, ma da migliaia di anni sono rimaste immutate. Gente che nasce, vive e muore per amore delle proprie radici, della propria terra e di essa si nutre. Allora riesci a capire che questo strano popolo dalle usanze a volte anche stravaganti ha qualcosa da insegnare anche a noi.

Come ogni giorno partiamo per una pattuglia. Avvicinandoci ai nostri mezzi Lince, prima di uscire, sguardi bassi, qualche gesto di rito scaramantico, segni della croce... Nel mezzo blindo, all'interno, non una parola. Solo la radio che ci aggiorna su possibili insurgents avvistati, su possibili zone per imboscate, nient'altro nell'aria... Consapevoli che il suolo afghano è cosparso di ordigni artigianali pronti ad esplodere al passaggio delle sei tonnellate del nostro Lince.

Siamo il primo mezzo della colonna, ogni metro potrebbe essere l'ultimo, ma non ci pensi. La testa è troppo impegnata a scorgere nel terreno qualcosa di anomalo, finalmente siamo alle porte del villaggio...

Veniamo accolti dai bambini che da dieci diventano venti, trenta, siamo circondati, si portano una mano alla bocca ormai sappiamo cosa vogliono: hanno fame...

Li guardi: sono scalzi, con addosso qualche straccio che a occhio ha già vestito più di qualche fratello o sorella... Dei loro padri e delle loro madri neanche l'ombra, il villaggio, il nostro villaggio, è un via vai di bambini che hanno tutta l'aria di non essere li per giocare...

Non sono li a caso, hanno quattro, cinque anni, i più grandi massimo dieci e con loro un mucchio di sterpaglie. Poi guardi bene, sotto le sterpaglie c'è un asinello, stracarico, porta con sé il raccolto, stanno lavorando... e i fratelli maggiori , si intenda non più che quattordicenni, con un gregge che lascia sbigottiti anche i nostri alpini sardi, gente che di capre e pecore ne sa qualcosa...

Dietro le finestre delle capanne di fango e fieno un adulto ci guarda, dalla barba gli daresti sessanta settanta anni poi scopri che ne ha massimo trenta... Delle donne neanche l'ombra, quelle poche che tardano a rientrare al nostro arrivo al villaggio indossano il burqa integrale: ci saranno quaranta gradi all'ombra...

Quel poco che abbiamo con noi lo lasciamo qui. Ognuno prima di uscire per una pattuglia sa che deve riempire bene le proprie tasche e il mezzo con acqua e viveri: non serviranno certo a noi... Che dicano poi che noi alpini siamo cambiati...

Mi ricordo quando mio nonno mi parlava della guerra: “brutta cosa bocia, beato ti che non te la vedarè mai...” Ed eccomi qua, valle del Gulistan, Afghanistan centrale, in testa quello strano copricapo con la penna che per noi alpini è sacro. Se potessi ascoltarmi, ti direi “visto ,nonno, che te te si sbaià...”

Caporal Maggiore Matteo Miotto

Thiene (Vicenza) - Valle del Gulistan, novembre 2010

martedì 21 dicembre 2010

AUGURI

Auguri per un 2011 pieno di...

martedì 14 dicembre 2010

A PROPOSITO DI CORRUZIONE


A gennaio di quest'anno una conoscente ha più volte sollecitato una mia presenza a cena perché voleva presentarmi una persona molto interessata ai miei video contro la petrolizzazione dell'Abruzzo.
Ho accettato l'invito, presso un ottimo (e costoso) ristorante di Pescara, dove l'amico della mia conoscente era chiaramente di casa.
Questo personaggio, d'ora in avanti lo chiamerò per esigenze di narrazione "Puffo", faceva di tutto per rendersi simpatico ostentando apertamente i simboli del suo status, orologio d'oro, macchinone tedesco naturalmente di colore nero e con i vetri oscurati e l'immancabile divisa da commis d'affaire d'alto bordo: abito gessato ma con camicia vistosamente aperta sul collo taurino santificato da un barocco crocifisso d'oro.
Nonostante la sua dimestichezza con il menù e la carta dei vini, scelti in base al prezzo, Puffo aveva evidenti difficoltà a gestire la forchetta con la mano sinistra che usava invece per infilzare il pane con candida ignoranza, mentre continuava a parlare masticando.
Mi ricordava la macchietta politica di Albanese.
Iniziammo una conversazione generalista, mi chiese come avevo passato il natale e quando gli dissi che ero stato in una base militare dell'UNIFIL in Libano con i nostri soldati rispose con queste parole: Anche a me piace molto l'Africa, vado sempre a Sharm el Sheik...
Un'altra perla della serata fu quando feci notare che un abruzzese come Corradino D'Ascanio fosse praticamente sconosciuto agli abruzzesi ed infatti lui mi chiese chi fosse.
Per semplificare gli risposi che era l'inventore dell'elicottero e lui, parlando, ridendo e masticando nello stesso tempo disse: Aho, io su quei cosi mica ce volo, io ce tengo alla mia vita!
Poi mi parlò del Pescara Calcio e della Virtus di Lanciano così ben gestite da due belle ragazze abruzzesi e quando capì che non provavo alcun interesse per il calcio e che purtroppo non sapevo chi fossero queste due belle abruzzesi mi guardò con commiserazione, evidenziando una scarsa frequentazione con gli studi dentistici.

Poi venne al dunque: eravamo li a cena perché era rimasto molto colpito dalla bellezza dei miei filmini per il petrolio (sic!) e che soprattutto era rimasto colpito un mai definito presidente, al punto tale che questo presidente avrebbe voluto affidarmi un incarico importante per produrre un bellissimo filmino sull'Abruzzo. Ma il presidente non poteva farlo pubblicamente, perché se no si sarebbe esposto e tutti avrebbero pensato che facesse favoritismi, per questo il presidente aveva incaricato lui, Puffo, di portare avanti la questione.

Mi chiese che macchina avevo, guardò con attenzione il mio swatch da 70 euro, arricciò il naso notando che dalla mia camicia, leggermente aperta sotto un vissuto maglione di cachemire, non appariva nessuna catena o catenina con cristi e santi e quando ci salutammo guardò quasi con apprensione il mio giubbotto di pelle liso dal tempo e che io amo da almeno venti anni come Linus ama la sua coperta.

Dopo qualche giorno una mattina mi chiamò dicendo che sarebbe giunto a Lanciano e che dovevamo sicuramente incontrarci perché aveva delle bellissime notizie per me.

Ristorante di pesce, questa volta solo noi due, solite chiacchiere e alla seconda bottiglia di Pecorino cambia il tono e passa al tu.
Antonè, ma uno bravo come te si capisce che sta facendo tutto questo casino perché sa dove vuole arrivare.

Perché, dove voglio arrivare? gli domando.

Antonè ma se io in questo momento te prometto 25 mila euro, hai capito bene, venti cinque mila euro - scandendo la cifra e battendosi ripetutamente il petto sulla sinistra, dove c'è il cuore ed anche il portafogli - la faresti finita con sta stronzata del petrolio che sta rovinando l'immagine dell'Abruzzo nel mondo, insieme a quella invasata de americana?
Ma che ve siete messi in testa? Quella è un'invasata e se ne sta in America e va bè ma tu sei uno in gamba, se capisce, e con 25 mila euro hai voglia a fare filmini!

Avevo sospettato sin dall'inizio che fosse questo il suo scopo, ma la sua uscita così diretta e la miseria dell'importo mi avevano spiazzato.
Ci pensai un poco, mi versai un po di pecorino dalla seconda bottiglia appena aperta e riordinate le idee gli risposi:
Questi 25 mila euro sono proprio un bel modo per iniziare la nostra collaborazione, la prima tranche necessaria per rafforzare il Movimento (Nuovo Senso Civico ) e trasformarlo in uno strumento molto più forte e organizzato per mandare a casa una classe politica miserrima fatta di personaggi avidi, corrotti, corruttori ed ignoranti.

Il pranzo si concluse praticamente lì perché Puffo si alzò con la seconda bottiglia di Pecorino appena iniziata, senza dolce, caffè e ammazza caffè. Gli avrei voluto dire che io avevo iniziato a fare filmini contro e non per il petrolio abruzzese dopo avere sentito una conferenza di quell'invasata de americana e che questa storia del petrolio in qualche modo aveva cambiato la mia vita ed il senso del mio vivere in Abruzzo, ma non ne ho avuto il tempo. Ho però avuto la freddezza di richiamarlo quando era già alla porta per dirgli che non avevo nessuna intenzione di pagare quel conto: vederlo tornare furente e impacciato verso la cassa, con il ristorante piombato nel silenzio, mi sprigionò una malcelata gioia infantile.

Penso spesso a quella bottiglia di Pecorino di Pasetti pressoché intera ed abbandonata sulla tavola e penso anche a questa storia molto abruzzese perché io un bel filmino sull'Abruzzo in particolare sulla sua classe politica lo vorrei proprio fare.
E magari un giorno o l'altro lo farò, e questo non è un sogno, è una minaccia.

sabato 4 dicembre 2010

LA FUNZIONE DEI MENTORS



L'Afghanistan dei taliban che il mondo civile si è ripreso con le armi di Enduring Freedom, non era uno stato ma un territorio in balia di un'interpretazione restrittiva della shari'a, applicata con estrema crudeltà e che nella sua visione politica sostituiva qualsiasi altra forma di struttura amministrativa, giuridica, sociale e militare.


Subito dopo la loya jirga, la Grande Assemblea  delle tribù afghane, che portò alla formazione del governo provvisorio di Hamid Karzai, nacque la necessità di creare un corpo di polizia che, secondo i canoni dei Lander tedeschi, potesse riprendere il controllo amministrativo e giuridico delle province. L’organizzazione e l’addestramento di questo corpo di polizia infatti fu affidato sino al 2007 proprio alla Germania.

Ben presto risultò chiaro quanto una simile struttura fosse insufficiente a combattere tanto il narcotraffico quanto lo spietato terrore che gli insorgenti continuano tuttora a riservare a tutti coloro che ritengono rei di dialogare con gli infedeli. 
Gli insorgenti individuarono il punto debole dello schieramento del nuovo governo repubblicano proprio nella polizia di ordinamento tedesco, non adeguatamente preparata a condurre vere azioni militari, che dal gennaio 2007 al settembre del 2008 perse ben 1165 uomini, a confronto dei 420 del nascente esercito afghano.  

Era a quel punto evidente che l’unica strada per normalizzare il territorio e far rientrare al più presto a casa i contingenti della coalizione NATO era quella di accelerare la costituzione di un esercito efficiente e motivato, a cui delegare progressivamente le azioni militari ed un controllo reale del territorio e dei confini.
Impresa assai complicata.
La struttura sociale afghana è infatti basata da secoli su ferrei concetti di censo e casta, all’interno dei quali, per esempio, era praticamente improponibile che un Hazara potesse dare un ordine ad un Pashtun.
Forse anche per questo, nonostante una plurisecolare storia di guerre anche vittoriose ma sempre condotte a livello tribale, l'Afghanistan sino alla metà del secolo scorso non aveva un vero e proprio esercito nel senso istituzionale del termine.
Il primo ministro dell'epoca, Mohammad  Daoud Khan cognato del re Zahir Shah e come lui Pashtun, negli anni '50 si rivolse all'Unione Sovietica per la costituzione di un esercito afghano con lo scopo dichiarato di riconquistare militarmente i territori tribali pashtun rimasti all'interno dei confini del neocostituito Pakistan, disegnati nel 1947 dagli inglesi al momento della scissione con l'India.

Da quel momento l'esercito afghano divenne protagonista nella storia sociale e politica afghana che, dopo la sconfitta dell'Armata Rossa, ne ha seguito il travaglio per poi letteralmente evaporare nel corso del regime talebano.

In questo scenario si inserisce il progetto degli OMLT:
trasferire nel più breve tempo possibile il controllo del territorio dalle forze armate ISAF all'Afghanistan National Army (ANA), com'è stato ribadito nel corso dell'ultimo Summit della Nato a Lisbona, 19 e 20 novembre 2010. In questi due giorni è stato evidenziato come l'azione militare della coalizione in Afghanistan sia transitoria e propedeutica al trasferimento all'ANA delle necessarie competenze di controllo e gestione del territorio, portando a 170 mila elementi la consistenza delle forze armate afghane. Tutto questo rispettando le attuali quote etniche che prevedono il 44% di pashtun, il 31% di tagiki, l'11% di hazara, il 9% di uzbeki e il 5% di militari provenienti da altri gruppi minori.


In termini pratici significa insistere sull'organizzazione e l'addestramento di un esercito di 170 mila soldati che, rispettando la rappresentatività del popolo afghano, sia leale nei confronti del governo e in grado di condurre operazioni militari, inizialmente insieme alle forze armate occidentali e poi in totale autonomia.
La nascente forza afghana è stata così divisa in 5 Corpi d'Armata ognuno dei quali inserito in una delle 5 aree militari in cui è diviso L'Afghanistan.

L'Italia, che ad Herat ha il comando del settore occidentale (Regional Command-West) costituito da militari di una dozzina di nazioni, ha tra gli altri compiti quello di “mentorizzare” il 207° Corpo d'Armata Afghano. 
Ma cosa fanno esattamente i mentors italiani, quanti e soprattutto chi sono?
Il compito degli OMLT è quello di insegnare (teach), guidare (coach) e supervisionare (mentor) il personale dell’ANA nella pianificazione, organizzazione ed esecuzione sia delle attività addestrative che operative sul campo; il detto popolare "armiamoci e partite" in questo caso è diventato "ci stiamo armando per partire insieme".
Per questo i Mentors non solo affiancano i loro pari grado durante la fase addestrativa e gestionale, ma sono al loro fianco anche durante le azioni di combattimento sul campo.


Il colonnello degli Alpini Silvio Zagli è il comandante dell'OMLT del Regional Command West con base a Camp Stone, quaranta chilometri da Herat.
Alle sue dipendenze ci sono per il momento circa 300 soldati tra italiani, spagnoli e americani che, in base alla nuova strategia della NATO dovrebbero diventare 400 nei prossimi mesi.
Negli OMLT sono presenti militari di tutte le specialità dell'Esercito che, se dotati dei requisiti previsti, prima di partire devono seguire numerosi corsi di aggiornamento e formazione.
In Italia il compito di formazione dei mentors è demandato al Centro Addestramento Alpino di Aosta propedeutico ad un ulteriore periodo presso il Joint Multinationational Readiness Center di Hohenfels in Germania, dove si svolgono lezioni relative al Military Decision Making Process e attività pratiche sul campo quali convoy operation, search, hambush e altre tattiche di condotta.

Questa è la prima volta che le Forze Armate Italiane sono chiamate a svolgere un tale compito ed i nostri militari considerano questa esperienza esaltante ed unica nonostante l'impegno veramente gravoso ed i rischi a cui sono esposti.
L'attività operativa dei mentors non è certo facile, perché innanzitutto devono capire la mentalità dei soldati afghani senza peraltro tentare di modificarne tradizioni e usanze e soprattutto evitando di cadere in una facile contrapposizione tra il mondo occidentale e quello orientale.

Insieme al colonnello Pierpaolo Lamacchia, ufficiale addetto ai contatti con la stampa, ho avuto occasione di intervistare a Camp Stone il Generale Jalandar Sha Behnam comandante in capo del 207° Corpo d'Armata Afghano:
"Molti sono i cambiamenti, da quando sono incominciate le attività ISAF in Afghanistan...
...i Talebani erano una minaccia per il Governo e la società, ed il popolo non aveva diritti. ISAF ha aiutato il Parlamento ed il Governo, rafforzando la sicurezza nel Paese e incominciando a creare nel popolo una certa stabilità e fede nei propri diritti.
Il lavoro compiuto a fianco della Task Force italiana dà ottimi risultati: afghani ed italiani rappresentano un Team in cui le due componenti sono molto legate e affiatate.
Per noi inoltre è una cosa gratificante vedere come le varie etnie, Tagiki e Pashtun soprattutto, che prima si contrastavano, ora, nell'ANA, trovano il luogo d'incontro per contribuire alla crescita e al rafforzamento del proprio Paese".

Ho poi assistito ad un'esercitazione di un battaglione di artiglieria afghano mentorizzato dai militari italiani, ancora dotato di vecchi obici sovietici ed eterogeneo per quanto riguarda l'età dei suoi componenti ed il loro livello di preparazione e scolarizzazione.
E' stata un'esperienza molto positiva, direi quasi gratificante per il mio nazionalismo, vedere la professionalità e l'autorevolezza dei nostri militari all'opera nonostante le difficoltà ed il disagio di vivere per un anno lontano da casa all'interno di un campo militare in perenne stato di allarme affrontando problemi di tutti i generi,  compreso il problema della lingua: infatti tutte le comunicazioni verso gli afghani avvengono tramite un interprete che traduce dall'inglese al pashto o al dari perché non ci sono interpreti che conoscono l'italiano, per questo motivo tutti i nostri soldati hanno acquisito un'adeguata conoscenza dell'inglese, di fatto lingua ufficiale della Nato.
Inoltre gli armamenti afghani sono in gran parte ancora provenienti dagli arsenali sovietici e per quanto robusti ed essenziali sono ormai obsoleti e notevolmente diversi da quelli occidentali, anche nell'impiego e privi ormai di manualistica e pezzi di ricambio.

La 1a Brigata del 207° Corpo d'Armata afghano è stato il primo reparto addestrato dagli OMLT italiani ad ottenere la certificazione che rende la Brigata idonea ad operare in autonomia sia in termini di combattimento che di sostegno logistico.
Un grande successo per la NATO ma anche per l'Italia.
Proprio per questi risultati la NATO ha deciso di continuare a sostenere i notevoli costi economici relativi a questo progetto e di procrastinare al 2014 il ritiro del grosso delle truppe, ribadendo così il concetto che il compito delle truppe NATO non è di perseguire una vittoria militare sul campo quanto creare i parametri di sicurezza indispensabili per lo sviluppo economico e sociale.


Oltre ai mentors dell'Esercito in Afghanistan opera una task force della Guardia di Finanza, denominata Grifo, per la costituzione di una polizia di frontiera e un nutrito nucleo di Carabinieri che hanno sinora addestrato oltre 4000 membri della polizia afghana ricevendo per questo pubblici complimenti dallo stesso generale statunitense David H. Petraeus, comandante in capo di tutte le forze armate presenti in Afghanistan.

Dopo un anno di collaborazione,  tra i mentors ed i mentorizzati, si creano rapporti di stima e anche di amicizia rafforzati dal fatto che condividono insieme i rischi delle missioni sul campo.
Al momento in Afghanistan le forze armate e di polizia sono le uniche istituzioni presenti capillarmente su quasi tutto il territorio con compiti che travalicano quelli tipici dei militari.
La possibilità di far parte delle forze armate o della polizia è inoltre per i giovani afghani una grande possibilità di crescita sociale e di sicurezza economica. Anche su questi elementi si basa la strategia della coalizione.

La storia afghana ci insegna come la mitologia, nata nell'antichità per rispondere attraverso simboli universali ai perenni dubbi dell'uomo possa essere d'aiuto a ridisegnare il futuro di un popolo in difficoltà da troppi anni. 
Certo, tutto questo per l'Occidente significa accettare grandi costi finanziari e l'eventualità di perdere sul campo altre giovani vite di soldati; l'alternativa è l'indifferenza.

Antonello Tiracchia
(in redazione Francesca Vinciguerra)