Il confronto genera conoscenza, libertà e democrazia. L'indifferenza e l'ignoranza generano corruzione e malgoverno. Il dogma e il pregiudizio ideologico generano integralismo e conflitti.

lunedì 18 ottobre 2010

BOMBE, BUGIE E COSTITUZIONE


L'Articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana è uno dei più citati ma probabilmente anche il meno letto. Nonostante sia assai breve non è proprio facilissimo comprenderne il senso, perché quando fu stilato le macerie della guerra erano ancora fumanti e gli occhi degli italiani gonfi di pianto.
Ecco cosa hanno scritto i Padri Fondatori della nostra Repubblica a proposito della guerra:

Art. 11.

L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
L'Italia è un alleato di rilievo della NATO e membro autorevole dell'ONU.
Pertanto, quando   - in condizione di parità con gli altri Stati - si delinea a livello internazionale la necessità di attivare un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni l'Italia si assume precise responsabilità a livello internazionale per promuovere e favorire le organizzazioni internazionali - di cui è parte integrante a tutti gli effetti - rivolte a tale scopo.
In termini pratici vuol dire che quando si delineano questi presupposti - come per esempio è avvenuto per il Mozambico, la Somalia, Timor Est, il Kosovo, l'Afghanistan etc. -  il Governo  convoca lo Stato Maggiore a cui chiede di che cosa necessitino le Forze Armate per raggiungere gli obiettivi politici e strategici della missione, quindi convoca il Parlamento che valuterà le scelte dell'esecutivo ed approverà il piano di spesa.
Questa estrema semplificazione ci aiuta a capire che, se dopo anni di presenza in Afghanistan, l'attuale Governo sta ancora decidendo se armare o non armare i nostri cacciabombardieri per supportare e  proteggere le nostre truppe a terra e non certo per colpire obiettivi civili, strategici o militari, è la prova che qualche cosa in questo complesso processo istituzionale non ha funzionato.
O il Governo non ha saputo spiegare allo Stato Maggiore quali erano le aspettative della missione o lo Stato Maggiore ha sottovalutato il problema.
Nessuna di queste due ipotesi è vera.
La realtà è che in Italia si ha la tendenza a cambiare il nome delle cose nel tentativo un po meschino di comunicare all'opinione pubblica un messaggio falso ma  politicamente corretto
I nostri soldati, nell'immaginario dei nostri politici, non sparano, distribuiscono nutella, devono sempre sorridere con la mimetica ben lavata e stirata ed avere bambini in braccio.
Poi, durante un combattimento, accade che qualcuno muore e  all'improvviso si scopre che i nostri soldati non sono lì per fare le balie o distribuire caramelle e sorrisi; ma la cosa sorprendente è che l'opinione pubblica, nonostante la disinformazione e la censura, è apertamente schierata con nostri soldati che, non solo in Afghanistan, fanno un lavoro egregio perseguendo con riconosciuta professionalità l'obiettivo della missione che prevede anche azioni militari. 
Gli italiani stanno prendendo atto che, in Afghanistan, i loro militari stanno riscattando sul campo, con le armi, un'immagine di viltà ed incapacità militare dell'Italia che negli anni passati era stata costruita ad arte, travisando la storia ed i fatti.


Proprio per non innescare problemi di politica interna i governi hanno sempre rilasciato ai comandi militari impegnati in missioni all'estero una delega parziale, arrogandosi il diritto di decidere anche sotto il profilo puramente tattico e questa è una grave anomalia che di fatto spunta la lancia del nostro dispositivo militare che oltretutto viene così esposto a rischi maggiori.


Questo consolidato atteggiamento cautelare è stato sempre usato per evitare che le nostre missioni di peace keeping e peace enforcement potessero essere identificate dall'opinione pubblica come atti di guerra. 

Ma come sempre avviene il Popolo è sempre più avanti del Palazzo e, come molti articoli e servizi radiotelevisivi dimostrano, è sempre più consapevole  dell'importanza della missione in Afghanistan e dei suoi rischi.
Questo atteggiamento ambiguo e dequalificante di disinformazione o informazione edulcorata è stato seguito da tutti i governi  della Repubblica coinvolti  in missioni di peace keeping e peace enforcement o di vera guerra, come i bombardamenti  in Iraq durante la Guerra del Golfo e successivamente in Serbia; atteggiamento difficile da definire senza sgradevoli aggettivi e che pone seri dubbi sulla coscienza democratica della nostra classe politica.


I tragici eventi delle ultime settimane  hanno aperto un acceso dibattito tra i parlamentari che - è bene ricordarlo - nella finanziaria hanno votando tutti a favore del rifinanziamento della nostra partecipazione alla coalizione ISAF con l'unico voto contrario dell'IDV, contrario non per motivi legati alla missione ma per miserevoli calcoli di politica interna.


Gli Italiani nonostante la disinformazione su tutto ciò che riguarda il  mondo militare ed in genere la politica internazionale stanno riscoprendo una coscienza nazionale e chiedono che i nostri soldati siano messi in condizione di difendersi, non solo dai talebani ma anche dall'ambigua politica del baratto: " armeremo i nostri aerei ma ce ne andremo nel 2011!"


Il Governo deve innanzitutto chiarire senza remore  perché siamo presenti in Afghanistan ed evitare di stabilire una data di rientro prima del raggiungimento dello scopo principale della missione, perché così facendo mette i nostri militari in una condizione di pericolo e, soprattutto, rende vana la morte di coloro che  hanno tenuto fede al giuramento che i soldati fanno al Presidente della Repubblica come custode dei Valori dello Stato. 
Il giuramento(*) dei soldati è qualche cosa di diverso da un contratto civile, non solo per la solennità della cerimonia ma perché, tra i meandri delle parole, il militare pone la sua vita al servizio dei Valori fondanti della Repubblica.


Per la prima volta, in questi giorni, seppure con molti distinguo e  con la voce ancora fioca si sente dire che in Afghanistan si combatte e si muore non solo per aiutare il popolo afghano,  martoriato dalla spietata follia dell'integralismo islamico, ma anche per difendere questi Valori, comuni a tutto l'Occidente.
E' importante che si incominci a capire che l'Afghanistan è l'ultima trincea per evitare che il campo di battaglia di quella che ormai è a tutti gli effetti una guerra globale contro l'Occidente, per quanto  asimmetrica, si allarghi alle nostre città che probabilmente già nascondono terroristi pronti ad intervenire.


I parlamentari devono abituarsi a rispettare i loro datori di lavoro (cioè tutti noi, semplici cittadini, che paghiamo loro un lauto stipendio) dandoci, anche  in questo caso, informazioni precise sul perché delle nostre missioni militari all'estero e chiamando le cose con il vero nome. 
I nostri soldati  al fronte potrebbero così raggiungere gli obiettivi assegnati con la consapevolezza di essere supportati pubblicamente dalla nazione e di poter usare gli strumenti adeguati al successo della missione e alla loro sicurezza.
Se ci fosse maggior chiarezza e coraggio civile la classe politica nel suo insieme godrebbe di una maggiore credibilità e stima da parte del Popolo, perché la disinformazione genera ignoranza e trasforma i cittadini in sudditi.


(*) In Italia la formula del giuramento militare è prevista attualmente all'art. 2 della Legge 11 luglio 1978, nr.382 «Norme di Principio sulla Disciplina Militare»; la formula, unica per tutti i cittadini italiani che rivestono lo status di militare, recita:
"Giuro di essere fedele alla Repubblica Italiana, di osservare la Costituzione e le leggi  e di adempiere con disciplina ed onore a tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria  e la salvaguardia delle libere istituzioni."
Il Giuramento è valido solo se avviene al cospetto della Bandiera della Repubblica, o se esiste della Bandiera di Guerra del Reparto e alla presenza del suo Comandante. 





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